Le grandi manovre sono iniziate. Francia e Germania, così come i vertici dell’Unione europea e dei Paesi legati all’asse franco-tedesco hanno cominciato a incontrarsi per decidere le sorti dell’Ue. E di queste decisioni, l’unico dei grandi che sembra essere stato escluso è l’Italia, colpevole di rappresentare il governo più inquieto all’interno della comunità. Più dello stesso esecutivo ungherese di Viktor Orban, che, una volta rientrato fedelmente nella famiglia del Partito popolare europeo, sembra dare meno ansie all’establishment Ue e soprattutto alla Germania di Angela Merkel.
L’Italia, dicevamo, è entrata nel novero dei “cattivi”. E non è difficile capirne il motivo dal momento che i due partiti di governo rappresentano in ogni caso parte dell’opposizione all’interno dell’Europarlamento uscito da queste elezioni di fine maggio. Ma soprattutto perché l’Italia ha apertamente sfidato l’asse franco-tedesco rappresentando la spina nel fianco per Berlino e Parigi su temi-chiave della politica europea, dall’immigrazione alla politica estera (rapporti con Cina, Russia e Usa in primis) passando per le scelte industriali e quelle legate allo sforamento del tetto del deficit.
Roma non è da sola in questo isolamento: attualmente sono due i governi con cui condivide questa sorta di emarginazione che può risultare decisiva nell’assetto della prossima Unione europea. Il primo “collega” dell’Italia in questa conventio ad excludendum è il Regno Unito di Theresa May, che però parte da una condizione decisamente diversa: la Brexit. Il Regno Unito ha scelto di uscire dall’Unione europea e la netta vittoria del Brexit Party alle elezioni per il parlamento di Strasburgo ha confermato la volontà britannica. Se a questo si aggiunge il difficilissimo negoziato con Bruxelles e la debolezza del governo, si comprende perché Londra non faccia parte di chi deciderà le sorti dell’Unione europea. A Roma e Londra, si aggiunge Varsavia, che però dalla sua ha il fatto che è meno importante nelle logiche europee e soprattutto fa parte del Gruppo Visegrad, che con Orban nel Ppe marcia abbastanza compatto nell’essere un nuovo polo europeo.
L’esclusione dell’Italia non può non avere influssi negativi. Perché in queste ore si decide la composizione della maggioranza del Parlamento europeo e il futuro assetto della Commissione che rappresenterà il governo dell’Unione europea. Avere un commissario più potente rispetto a un altro sottintende avere un alleato potente al vertice di Bruxelles ed è per questo che gli industriali chiedono che Palazzo Chigi si batta per avere un commissario economico pur avendo contro tutti i Paesi del Nord Europa.
Intanto, quello che è certo, è che non ci sarà un italiano alla guida della Commissione europea. Per adesso
i nomi sono tutti “tedeschi” o legati all’asse tra Francia e Germania oppure a Paesi che vogliono scavalcare l’Italia nella gerarchia politica europea.
Come riporta Dagospia, attualmente pare abbia preso molto corpo l’ipotesi di
Margrethe Vestager, attuale commissaria europea alla Concorrenza. Il nome circola da tempo e potrebbe rappresentare la fusione fra la volontà del blocco liberale di Macron (decisivo nella futura maggioranza del Parlamento) e la strategia della Merkel, che avrebbe una persona comunque affidabile (per Berlino) a capo della Commissione potrebbe chiedere in cambio le poltrone che contano:
Jens Weidmann per la Banca centrale europea e Manfred Weber,
Spitzenkandidat del Ppe, per la presidenza del Consiglio europeo. Ma per Palazzo Chigi potrebbero esserci altri problemi, perché se Bce, Commissione e Consiglio sembrano già avere i posti occupati, perderemmo anche il presidente del Parlamento europeo. Con la fine della presidenza Tajani, si sono già alzati in volo quelli che vogliono mettere un proprio uomo alla guida di Strasburgo, e non casualmente è spuntato ilo nome di uno spagnolo, visto che Madrid sta facendo di tutto per scalzare Roma dal podio europeo dopo Berlino e Parigi.
Un primo indizio di questa strategia c’è stato ieri sera: una cena a Bruxelles per trattare sui prossimi vertici europei. E già da questo incontro si possono capire tante cose. Una cena a sei in cui i commensali piccano: il primo ministro belga Charles Michel – padrone di casa-, l’olandese Mark Rutte, lo spagnolo Pedro Sanchez, il portoghese Antonio Costa, il premier croato Andrej Plenkovic e quello lettone Krisjanis Karins. Tutti rappresentano i tre partiti europei che potrebbero rappresentare la futura maggioranza, Verdi esclusi. E manca sicuramente un Paese: l’Italia.


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