Gli Stati Uniti si estendono per quasi 10 milioni di chilometri quadrati e comprendono anche diversi territori insulari situati nell’Oceano Pacifico occidentale, oltre che Stati associati molto vicini alla Casa Bianca. Queste piccole isole, all’apparenza inutili retaggi di un passato imperiale e coloniale, hanno in realtà un grande peso strategico perché determinano gli equilibri geopolitici in una zona caldissima, dove l’ascesa della Cina è il pericolo numero uno che Washington intende contenere. Proprio Pechino ha capito l’importanza del gioco e sta iniziando ad adottare un piano volto a ridurre la presenza americana nel proprio cortile di casa.
I territori chiave
Di quali territori stiamo parlando? Di Palau, delle Isole Marshall e della Micronesia, piccole lingue di terra a nord dell’Australia e a pochi passi dalle Filippine definiti “stati liberamente associat””; ma anche di Guam, negli anni scorsi presa di mira dalla Corea del Nord, del Commonwealth delle Isole Marianne settentrionali e delle Samoa americane, nazioni indipendenti ma legate agli Usa da patti di libera associazione (Cofa). In virtù di tali accordi gli Stati Uniti sono autorizzati a gestire la difesa nazionale di ognuna di queste nazioni, impedendo addirittura l’accesso del territorio ai militari stranieri; Washington è inoltre obbligata a fornire loro assistenza finanziaria.
La strategia della Cina
La Cina vuole minare la collana di perle americana, distruggere ogni collegamento tra queste lingue terrestri e Washington. Come fa notare il South China Morning Post, nel caso in cui Pechino riuscisse a piazzare un punto d’appoggio militare su una delle isole citate, spaccherebbe a metà le difese statunitensi. Gli sforzi cinesi sono concentrati per lo più negli Stati federati di Micronesia, Palau e Isole Marianne, anche se il fiato del Dragone si inizia a sentire un po’ ovunque, grazie alla presenza commerciale nel settore della pesca. Nel 2014, in una delle Marianne settentrionali, Saipan, la società cinese di casinò Best Sunshine aprì un distaccamento e promise investimenti miliardari. I soldi sono poi stati assorbiti dal fondo pensione pubblico e, in parte, dirottati in altri servizi statali. Nel giro di pochi mesi la comunità cinese è così aumentata, tanto da creare pensieri agli americani.
Casinò, soldi e resort
I casinò sono usati dalla Cina come arma politica, attività attraverso le quali finanziare le attività politiche di quei candidati più vicini alle idee di Pechino che non a quelle di Washington. È il caso ad esempio del governatore della citata Saipan, che ha ricevuto 20,8 milioni di dollari derivanti da imposte sui citati casinò, oppure della Commissione dello status politico di Marianas, un organo che spinge per ottenere l’indipendenza dagli Stati Uniti e che ha incassato una sovvenzione di 150.000 dollari.
Tinian è un’altra isola in cui il copione non è poi così diverso: la Cina intende costruire qui casinò e resort, far girare l’economia e distribuire denaro a pioggia per avvicinare i governi locali alle istanze di Pechino. La scelta non è certo casuale, perché i due terzi di Tinian sono affittati dalle Forze armate statunitensi.
La Cina si è fatta viva anche in Micronesia, offrendo borse di studio per gli studenti e fornendo programmi di formazione tecnica ai lavoratori locali. Pechino ha poi costruito un edificio amministrativo e un centro sportivo a Pohnpei, mentre ha speso 10 milioni di dollari per creare un altro palazzo istituzionale nell’isola di Chuuk.
Le paure di Washington
Gli Stati Uniti hanno capito il gioco cinese e temono di perdere la loro influenza nell’area. Non a caso il segretario di stato americano, Mike Pompeo, ha in programma un incontro con i leader delle isole del Pacifico con cui gli Usa mantengono l’accesso esclusivo alla difesa. Tra l’altro gli accordi sull’assistenza economica di Washington a questi paesi scade nel 2023, e la Cina è pronta a infilarsi nella crepa. È ufficialmente iniziata la guerra per contendersi i punti strategici del Pacifico: in campo, tanto per cambiare, ci sono Cina e Stati Uniti.