“Vae victis”, “Guai ai vinti”. Si narra che furono queste le parole con cui Brenno, capo dei Galli Senoni, si rivolse ai romani che si lamentavano del tributo intollerabile imposto dal nemico. E da quel momento, questa frase è considerata la sintesi perfetta della dura quanto implacabile legge della sconfitta: quella del vincitore che di fronte a un nemico ormai indebolito preferisce la sopraffazione alla pace e dello sconfitto che deve prepararsi alle conseguenze.

Donald Trump sta assaggiando in queste ore il gusto amaro della sconfitta, forse una delle più cocenti non solo della sua vita ma anche dell’intera politica americana. Mentre i conteggi continuano e Joe Biden si prepara a un timido ingresso alla Casa Bianca, il presidente uscente affila le armi legali in vista di un possibile ricorso fino alla Corte Suprema. Ma nel frattempo, con il suo mandato al crepuscolo, l’assedio dei media e dei gruppi politici ed economici che per quattro anni ha circondato e colpito la sua amministrazione continua. E sembra aver finalmente aperto un varco in quella cinta muraria costruita da The Donald grazie alla sua elezione.

L’impressione è che non si aspettasse altro che la sconfitta per affondare il colpo del ko. Sia chiaro: Trump sta facendo il possibile per soffiare sul caos della rivolta che serpeggia nel cuore dell’America profonda. E di certo ora non si placherà finché non avrà in qualche modo sfogato la sua “sete di giustizia” dopo le accuse di frodi e brogli che cavalca costantemente dall’inizio della campagna elettorale. Prima solo paventate, ora invece presunte dallo spoglio dei voti.

Ma al netto della opinabile scelta del presidente americano di provocare uno scontro così duro rifiutandosi di accettare il verdetto elettorale, fa riflettere l’accelerazione della guerra al presidente avvenuta subito a ridosso delle elezioni. Come se si volesse finalmente eliminare il problema, l’elemento ostile. Come se questo momento servisse non per far concludere una presidenza, ma per chiudere quella che per una parte di politica americana (e non solo) è stata una parentesi irritante e pericolosa nella rotta degli Stati Uniti.

L’idea è che Trump, per i suoi nemici, non debba solo perdere: Trump deve, di fatto, essere “estirpato”. Ora che è debole va affondato, non è più solo un presidente uscente che ha rappresentato gli Stati Uniti per quattro anni, ma è tornato a essere quel candidato “sovversivo” detestato dall’establishment e che se da candidato poteva essere colpito, da presidente doveva in ogni caso essere quantomeno accettato.

Ora le cose sono cambiate. Trump non sarà (a meno di clamorose rivoluzioni in corso d’opera) il presidente eletto degli Stati Uniti. E questo rappresenta una finestra d’opportunità per i suoi avversari per non commettere più l’errore fatto anni prima di sottovalutare il problema provocandone l’ascesa. L’assedio è soffocante e violento, non c’è più alcuna inclinazione a rispettare quanto detto o rappresentato dal mondo di Trump e dei pro Trump. Il presidente uscente è tornato a essere solo un nemico di cui adesso si conosce perfettamente il potenziale. E per questo non si fanno prigionieri. Vae victis appunto.

Ecco quindi le prime avvisaglie. I media hanno censurato il suo ultimo video valutando come false le sue affermazioni sui brogli elettorali. Censura preventiva che non fa onore ai media, che devono si valutar e dare opinioni – necessariamente – ma devono anche permettere allo spettatore di ascoltare. Il partito repubblicano, che per anni ha vissuto la presidenza Trump come un male necessario per rimanere al comando della Casa Bianca, ora può finalmente partire con le bordate per affondare l’ex tycoon, il suo clan e tutto quel mondo che è stato mal tollerato dalla rigida gerarchia del partito. I suoi collaboratori più inquieti – silurati e non – possono ora scendere dal suo carro o salire su quello dei vincitori tornando finalmente alla ribalta (leggi John Bolton, che si è subito ripresentato accusando Trump per il discorso dopo il voto dalla East Room). E quelli che tacitamente acconsentivano alla sua presidenza ora si scoprono acerrimi nemici e vecchi avversari. I social network puntano addirittura a oscurare il suo profilo mentre già vengono posti sotto osservazione, censurati o addirittura nascosti i gruppi dei suoi più fervidi sostenitori.

Che succederà ora? Difficile dirlo. Trump ha commesso errori e continua a farne, ma ha dimostrato ancora una volta di essere una potenza politica non solo difficilmente eliminabile ma anche ben più astuta di quanto credevano i suoi avversari. E la guerra appare più cruenta anche perché adesso nessuno vuole che The Donald possa riprendersi le luci della ribalta. Era pericoloso come candidato, e lo hanno sottovalutato. Era pericoloso come presidente, ma hanno continuato a sottovalutarlo. Ora è pericoloso come presidente uscente e possibile capo popolo di un mondo in rivolta. Sottovalutarlo non è più un’opzione per chi non vedeva l’ora del redde rationem.