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Per l’Italia in Libia ci sono ancora molti punti interrogativi e ancora nodi da sciogliere. Il primo, ed è fondamentale, è il ruolo dell’ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone, che da più di tre mesi ha lasciato la Libia. E che ancora non ha fatto ritorno.

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Durante il question time al Senato, il ministro Enzo Moavero Milanesi ha detto che il diplomatico italiano, fondamentale per le nostre trame libiche, non è tornato a Tripoli per i “grandissimi rischi per la sua sicurezza”. Tuttavia, il ministro ha anche affermato che “il governo intende assicurare la presenza del capo missione all’ambasciata italiana a Tripoli nei tempi più rapidi”, perché “la questione è urgente e non più differibile”. A questo proposito, Moavero ha detto che si stanno “già facendo opportune valutazioni per assumere una decisione”.

Una decisione che non può essere differita. Ma la domanda sorge spontanea: cosa intende decidere la Farnesina? Moavero, al Senato, ha detto che Perrone “non ha partecipato alla conferenza sulla Libia a Palermo” ma che “le analisi che ha svolto hanno fornito un contributo importante per la preparazione” della conferenza siciliana. Ma al netto di queste parole di cortesia, è ormai chiaro che quello che si sta consumando sul fronte libico è un vero e proprio scontro all’interno della diplomazia italiana.

Secondo diverse fonti, Moavero non sembra intenzionato a confermare l’ambasciatore a Tripoli. E questo può essere un colpo durissimo nei confronti non solo della nostra strategia, vista l’importanza del diplomatico in Libia, ma anche una mossa che inciderebbe notevolmente nei rapporti di forza all’interno della diplomazia italiana e dello stesso governo di Giuseppe Conte.

Come scrivevamo su questa testata, di recente sembra che il ministro degli Esteri abbia preso completamente in mano il dossier Libia e abbia intenzione di monitorarlo lui stesso, senza intermediari o uomini in grado di ledere la leadership del capo della Farnesina. Fonti della Lega, citate dal quotidianità La Verità, confermavano che è quasi impossibile “che Perrone torni in Libia, soprattutto dopo che il dossier è passato nelle mani di Moavero Milanesi, che ha evitato le intromissioni del ministro dell’ Interno Matteo Salvini, il quale aveva nell’ambasciatore il tramite con Tripoli”.

Il sospetto della Lega è che Moavero stia giocando una partita molto più ampia, in cui l’obiettivo non è solo quello di prendere in mano il dossier sulla crisi libica, ma anche giocare un altro tipo di partiti in ambito europeo. Perrone poteva e può essere una personalità utilissima ma scomoda al ministro degli Esteri.

E non è un mistero che fra l’attuale capo della diplomazia italiana e il ministro dell’Interno non corra buon sangue. L’ha dimostrato anche lo scontro sul Global Compact, con Moavero che si era dimostrato possibilista sulla firma del governo italiano al patto delle Nazioni Unite, mentre la Lega ha da subito posto un limite invalicabile chiedendo quantomeno il passaggio in Parlamento. Questo scontro si sta palesando anche sul fronte di Tripoli. Dove però il governo deve anche scontrarsi con attori esterni e con diverse potenze che vogliono escludere l’Italia dai giochi: soprattutto la Francia.

Ed è proprio a Parigi che bisogna volgere lo sguardo per comprendere anche la permanenza di Perrone a Roma. Il vertice dell’ambasciata a Tripoli era stato fatto rientrare in Italia nel momento in cui Khalifa Haftar aveva detto che non era più persona gradita.

Il motivo è che l’ambasciatore italiano aveva manifestato le sue perplessità riguardo le elezioni da tenersi in Libia. Perrone aveva detto quello che avevano sostenuto anche Elisabetta Trenta e Salvini, che era impossibile tenere delle elezioni nel Paese fino a una stabilizzazione completa. Un’idea che aveva ricevuto la secca risposta di Haftar e di altre milizie e istituzioni legate al maresciallo tanto che il diplomatico italiano era stato definito “persona non gradita”.

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Quelle parole dell’ambasciatore in Libia erano non solo sgradite ad Haftar, ma anche all’alleato europeo del generale libico: Emmanuel Macron. Il presidente francese ha sempre avuto come obiettivo quello di andare al voto il prima possibile per sfruttarle a suo vantaggio. Non solo per mostrarsi la potenza “benefattrice” in Libia, ma anche per riuscire a confermare la sua rete di influenze attraverso i parlamentari eletti. Le Nazioni Unite e altre potenze hanno bocciato l’idea. Ma gli alleati di Parigi non l’hanno presa bene. Anche quelli presenti in Italia.