Lo scorso mercoledì, il presidente Donald Trump ha informato i reporter di Los Angeles di non avere ancora incontrato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, aggiungendo poi: “Le relazioni si svolgono tra i nostri Paesi”. Una frase che ha suscitato non poche speculazioni: secondo alcuni, il presidente degli Stati Uniti darebbe massima importanza alle relazioni tra Usa e Israele, a prescindere dagli individui che le conducono; ma altri credono invece che Trump stia prendendo le distanze da un leader che vede in realtà come un perdente.
Dov Zakheim, ex Sottosegretario della Difesa per George W. Bush, ha dichiarato al Jerusalem Post che Trump non vuole assumersi il rischio di essere associato a un perdente che non è riuscito a vincere due elezioni di fila. Zakheim ritiene inoltre che il presidente potrebbe ricominciare a chiamare Netanyahu “un suo amico” se fosse in grado di formare di nuovo una coalizione, ma per quello si sta già preparando a lavorare insieme al leader del Partito Blu e Bianco, Benny Gantz, nel caso quest’ultimo prendesse il posto del premier in carica. Dal momento che il destino dell’attuale governo israeliano rimane incerto, per l’amministrazione Trump potrebbe essere il caso di iniziare a preparasi a uno scenario che veda Netanyahu fuori dai giochi.
A fronte di questa analisi, ce ne sono altre meno dure nei confronti del primo ministro israeliano. Secondo alcuni, è più probabile che Trump stia solo cercando di non interferire nella politica interna israeliana, non di allontanarsi da un “perdente”. Dan Shapiro, ex ambasciatore in Israele, ha detto al Jerusalem Post che sia Trump che Netanyahu hanno formato un’alleanza che ha saputo servire gli interessi di entrambi; ecco perché è intervenuto attivamente per assicurarsi che Netanyahu riuscisse a costruire una coalizione già ad aprile (cosa che non è poi successa). Sebbene Shapiro ritenga che Trump si stia preparando a stabilire una relazione con il nuovo premier (che a questo punto potrebbe essere proprio Gantz), potrebbe darsi invece che il capo della Casa Bianca abbia semplice compreso che queste ingerenze in ambito elettorale non hanno aiutato il proprio alleato come previsto.
Durante le ultime elezioni, in tutto lo Stato ebraico sono stati appesi manifesti con immagini di Trump mentre stringe la mano proprio a Netanyahu. Il presidente ha poi twittato riguardo un possibile trattato con Israele in tema di difesa, apparentemente un altro gesto dimostrativo della sua fiducia riposta in Netanyahu. Ma l’amministrazione Trump è intervenuta nel proceso elettorale con meno frequenza rispetto a quanto avesse fatto durante le elezioni di aprile- A quel tempo, per esempio, sia il Segretario di Stato Mike Pompeo che l’ex consigliere di sicurezza nazionale John Bolton erano stati fisicamente presenti in Israele per l’occasione.
La relazione del premier uscente con Trump avrebbe dovuto volgere a suo vantaggio durante entrambe le elezioni: nel 2017 il presidente spostò l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, dimostrando che Washington avesse riconosciuto quest’ultima come capitale di Israele. Nello stesso anno, l’amministrazione Trump aveva anche accettato la sovranità di Israele sulle alture del Golan. Tuttavia, le prestazioni elettorali di Netanyahu sono state oscurate da tre accuse di corruzione, tra cui quella di accettare regali da ricchi uomini d’affari e dispensare favori per cercare di ottenere un’immagine più positiva verso la stampa. Nemmeno una seconda elezione è riuscita a smuovere Israele da questa situazione di stallo politico.
Anche se il risultato dell’elezione della settimana scorsa non è ancora stato deciso, nel frattempo Trump non può lavorare insieme al suo alleato all’ultimo progetto di pace creato dalla propria amministrazione, in quanto potrebbe creare fratture tra i vari partiti; lo stesso Gantz potrebbe sostenere di cercare termini favorevoli per Israele, ed un governo provvisorio potrebbe non riuscire a mettere in atto un piano che contempli ulteriori annessioni. Pertanto, è più probabile che l’amministrazione Trump pensi alle proprie politiche una volta che verrà stabilito il vincitore dell’elezione.
Al Presidente potrebbe non piacere venire associato ai “perdenti”, eppure non è plausibile che sia questo il motivo per cui l’amministrazione Trump si sia allontanata da Netanyahu. Finché non viene formato un nuovo governo, Trump non può mettere in atto il suo nuovo piano di pace per Israele, e potrebbe avere capito che le sue ingerenze di aprile non hanno assicurato la rielezione del Primo Ministro, nonostante non lo abbia dichiarato ufficialmente. Se fosse davvero così, l’amministrazione Trump starebbe facendo la cosa giusta, prendendo le distanze fino a quando la situazione non diventerà più chiara.
Traduzione a cura di Stefano Carrera