Ferma opposizione all’ “indipendenza” di Taiwan. Nella risoluzione approvata e diffusa al termine del XX Congresso del Partito Comunista Cinese (PCC) si legge una doppia, importante, modifica dello statuto del Partito. Accanto alla posizione di Xi Jinping come “nucleo” della citata forza politica – con Xi fresco di un inedito terzo mandato da segretario del PCC e presidente della Commissione Militare Centrale – trova spazio anche la questione taiwanese, per la quale la Cina metterà in campo una “risoluta opposizione tesa a scoraggiare i separatisti che perseguono l’indipendenza di Taiwan“.
A completare il quadro troviamo poi altre dichiarazioni, tra cui quelle sulla lealtà politica e militare e sulla costruzione di forze armate di livello mondiale. “Osate lottare, osate vincere, piegate la testa e lavorate sodo. Siate determinati a continuare a farvi strada”, ha detto Xi ai circa 2.300 delegati partecipanti all’assemblea.
Non è mancata la replica di Taiwan, che ha invitato la Repubblica Popolare Cinese ad abbandonare la “vecchia mentalità” che ha indotto la decisione di includere nella Costituzione il rifiuto dell’indipendenza di Taiwan.
“Chiediamo alla nuova direzione del governo comunista cinese di rinunciare alla sua vecchia mentalità di invasione e di confrontarsi sulla soluzione delle differenze con mezzi pacifici, ragionevoli e realisti” si legge in un comunicato del Consiglio degli affari continentali di Taiwan, l’organismo delegato alla politica del governo isolano rispetto a Pechino.
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Le preoccupazioni su Taiwan
Già da ben prima del Congresso gli Stati Uniti temevano che, in un futuro non troppo lontano, la Cina avrebbe presto tentato di riunificare Taiwan, se necessario anche con l’uso della forza. È questo, del resto, quel che ha più volte ripetuto Xi. “Non rinunceremo all’uso della forza e prenderemo tutte le misure necessarie per fermare i movimenti separatisti”, ha dichiarato Xi nel suo intervento di un’ora e 45 minuti in apertura del Congresso, chiarendo che il Partito comunista dovrà mostrare “fermezza” nella risoluzione del dossier e “determinazione” nella riunificazione nazionale.
Gli ultimi segnali arrivati da Pechino, in aggiunta alle tensioni internazionali, hanno spinto Stati Uniti e Taiwan a rivedere le loro previsioni sul futuro dell’isola. In un primo momento, nel 2018, gli esperti ipotizzavano un attacco cinese a Taiwan entro il 2049, centenario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, tappa seguente, secondo la road map tracciata da Xi Jinping, al 2035, e cioè alla completa modernizzazione socialista da completarsi attraverso il conseguimento di una potenza militare di primaria grandezza.
In tempi più recenti, lo scorso settembre, il presidente del Joint Chiefs of Staff, il generale Mark Milley, ha dichiarato di aspettarsi un’azione cinese a Taiwan a cavallo tra il 2027 e il 2035. Ma c’è chi dice che Xi possa forzare il dossier taiwanese entro il 2027, così da celebrare al meglio il 100esimo anniversario della fondazione dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese (EPL).
L’ora dell’attacco
Non bastava il 2035. Le ultime previsioni sono ancora più a distanza ravvicinata. Il direttore generale dell’Ufficio per la Sicurezza Nazionale dell’isola, Chen Ming Tong, ha lanciato un chiaro avvertimento: la Cina potrebbe minacciare la guerra nel 2023 per costringere il governo taiwanese ad accettare colloqui volti a portare Taipei sotto il totale controllo di Pechino.
“Quando potrebbero aver bisogno di deviare la pressione interna, c’è la possibilità di un attacco a Taiwan”, ha aggiunto Chen, riferendosi al governo cinese. “Voglio dire solennemente alle autorità di Pechino che non c’è possibilità di vincere se attacca Taiwan con la forza”, ha aggiunto, sottolineando che le sanzioni economiche internazionali e l’isolamento diplomatico in caso di conflitto militare distruggeranno l’obiettivo del presidente cinese Xi Jinping di ottenere un “grande ringiovanimento” cinese.
Dal canto suo l’ammiraglio Mike Gilday, capo della Marina degli Stati Uniti, ha affermato che Washington deve considerare che la Cina potrebbe agire contro Taiwan molto prima anche degli avvertimenti più pessimistici. “Quando parliamo della finestra del 2027, nella mia mente quella deve essere una finestra del 2022 o potenzialmente una finestra del 2023“, ha detto Gilday all’Atlantic Council. “Non intendo affatto essere allarmista. . . è solo che non possiamo augurarcelo”.