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Il rapporto del ministero delle Difesa inglese dipinge uno scenario inquietante per Londra: le Forze Armate del Regno Unito sono sotto organico di 8200 unità pari al 5,7% del totale, 102 sono i settori carenti di personale ed il 94% del loro totale non riuscirà a sopperire a questa carenza prima di cinque anni.

Il documento riporta che a gennaio del 2018 il numero degli effettivi era pari a 137.300 uomini, ovvero 8200 in meno rispetto alla soglia minima per garantire l’efficienza delle Forze Armate britanniche come individuato dalla Strategic Defence and Security Review del 2015. 





Già allora era previsto un cambio di passo coerente con il mutato scenario internazionale di aumentata tensione che prevedeva l’aumento immediato delle reclute per la Royal Navy e per la Raf (Royal Air Force) con un contemporaneo investimento pari a 24 miliardi di sterline (27,5 miliardi di euro circa) in nuovi equipaggiamenti.

La soluzione di Londra

Per tamponare questa emorragia di personale, il Regno Unito ha aperto le porte delle Forze Armate a cittadini stranieri ma facenti parte del Commonwealth, ovvero quell’organizzazione che raggruppa tutti i 53 Stati che un tempo rientravano nello smisurato impero britannico.

In particolare si prevede che il numero di reclute “non inglesi” ammonterà annualmente a 1350 per i prossimi anni a venire in modo da coprire il personale che si congeda per anzianità o, ed è questo il punto cruciale, passa ad incarico civile dopo il periodo di ferma obbligatoria. Di questi 1350 mille andranno nell’Esercito, 300 nella Royal Navy e 50 nella Raf.

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Il personale proveniente dal Commonwealth era già presente, a ben vedere, nelle Forze Armate inglesi ma in numero fisso di 200 unità. Un capitolo a parte è e sarà ancora riservato ai Gurkha nepalesi e ai cittadini irlandesi che si sono sempre potuti arruolare senza particolari restrizioni grazie a speciali regolamentazioni.

La riforma prevede, in particolare, che i cittadini del Commonwealth potranno arruolarsi anche se non sono vissuti per cinque anni su suolo britannico, come da requisito previsto sino ad oggi nella legislazione vigente. Una riforma potenzialmente rivoluzionaria se si considera che una volta effettuato il servizio nelle Forze Armate si può acquisire la cittadinanza britannica. 

Solo una questione di numeri?

Il rapporto della Difesa indica che lo scopo è quello di disporre di 50mila uomini dispiegabili nel 2025 e in particolare il numero totale di soldati dovrà ammontare a 144.200 entro il 2020 di cui 30.450 per la Royal Navy compresi i Marines, 82mila per l’Esercito e 31.750 per la Raf. 

Parallelamente gli investimenti, pari a 24,4 miliardi di sterline, andranno in nuovi equipaggiamenti rivolti principalmente alla cyber sicurezza, Forze Speciali, sistemi di sorveglianza e ricognizione e per l’acquisizione di nuove capacità di pattugliamento aereo marittimo, fattore chiave per una talassocrazia come il Regno Unito.

A fronte di queste esigenze il numero complessivo del personale in divisa è andato costantemente diminuendo nel corso di un quinquennio: come indicato dalla Bbc se nell’aprile del 2012 era poco sotto le 100mila unità, a ottobre del 2017 si raggiungeva quota 79mila. 

Un’emorragia soprattutto di personale specializzato come piloti, ingegneri e analisti di intelligence che dopo essersi formati nelle scuole “con le stellette” sono passati ad incarichi civili sicuramente meglio retribuiti venendo a creare un buco allarmante nella Difesa britannica che si trova ad affrontare un periodo di transizione.

Oltre alla ben nota questione del ritorno sul palcoscenico globale della Russia e dell’emergere sempre più deciso della Cina sullo scacchiere globale, il Regno Unito si trova in un periodo di rimodernamento dei propri sistemi d’arma: basti pensare all’acquisto degli F-35 che richiedono personale altamente specializzato per il loro esercizio. 

La stima, ad esempio, del ministero della Difesa indica che per affrontare le nuove sfide del futuro sarà necessario arruolare 170 specialisti in vari settori ogni anno nel periodo che va dal 2019 al 2026. 

Se andiamo poi a vedere il grafico elaborato nel rapporto riguardante la differenza tra arruolamenti e congedi, si può notare, in particolare, che il divario si accentua in particolar modo nel periodo che va dal 2011 al 2014, mentre se diamo uno sguardo a quello che indica il numero di uomini richiesto per l’esercizio rispetto a quello degli effettivi si nota che la tendenza, a partire dal 2010, è sempre stata quella di accentuazione della differenza con gli arruolati sempre al disotto della curva degli effettivi. 

Curiosamente il ministero della Difesa lamenta anche una certa mancanza di sufficiente “diversità” negli arruolati. L’obiettivo è infatti quello di avere entro il 2020 il 15% del personale composto da donne ed il 10% facente parte di minoranze etniche, definite sotto l’acronimo di Bame (Black Asian and Minority Ethnic) dal ministero. Nel 2017 per queste categorie i dati indicano rispettivamente una percentuale di 12,2 e 9,2 con, in particolare, la Royal Navy e la Raf molto al disotto dell’obiettivo numerico fissato. 

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