Emmanuel Macron non ha mai nascosto di provare una certa riluttanza nei confronti della politica obamiana del neo-contenimento e negli ultimi dodici mesi ha tentato in diversi modi di aprire un varco, nell’Unione Europea e negli Stati Uniti, funzionale alla normalizzazione dei rapporti tra Occidente e Russia. Dopo aver incontrato Vladimir Putin alla vigilia del G7 di Biarritz, il presidente francese ha iniziato ad utilizzare la politica del bastone e della carota con i paesi Visegrad e dell’area baltica, Polonia in particolare, con l’obiettivo di ridurne la retorica russofoba, e ha concluso l’anno consacrando Parigi quale sede dei colloqui di pace per il Donbass.
Lo scoppio della pandemia ha costretto l’Eliseo a deviare temporaneamente l’attenzione sugli affari interni ma, adesso che l’emergenza sanitaria si sta gradualmente esaurendo, la diplomazia francese si è rimessa al lavoro per realizzare i sogni neogollisti di Macron.
Il programma di Macron: visita a Mosca e maggiore dialogo
Il mese di giugno si è aperto con un’intervista del ministro degli esteri francese, Jean-Yves Le Drian, ai microfoni di Le Telegramme che è stata ripresa in Russia. Il capo della diplomazia dell’Eliseo ha dichiarato che “se l’Europa vuole essere una forza dal volto umano al servizio della globalizzazione, deve scegliere un percorso che difenda in maniera ferma gli interessi [continentali] e sia aperto al vero dialogo multilaterale”, aggiungendo che “non è nel nostro interesse che la Russia si allontani da noi”. Con quell’intervento, breve ma conciso, Le Drian ha voluto spiegare che il futuro del Vecchio Continente, in un mondo sempre più globalizzato, passa inevitabilmente dal riconoscimento e dal rispetto delle differenze e, soprattutto, dalla costruzione di un rapporto collaborativo con Mosca.
A metà mese è stato comunicato che le diplomazie dei due paesi stanno lavorando intensamente all’organizzazione di una visita ufficiale di Macron a Mosca, la cui data definitiva sarà annunciata a tempo debito, non appena la situazione sanitaria in Russia renderà possibile un incontro di alto livello. La bilaterale si preannuncia molto importante, perciò le rispettive diplomazie vogliono attendere tempi migliori. Questo, almeno, è quanto si evince dalle dichiarazioni dell’ambasciatore russo a Parigi, Alexei Meshkov, secondo il quale “un certo numero di accordi interessanti sta già prendendo forma”.
Meshkov, inoltre, ha voluto confutare le indiscrezioni sull’assenza di Macron alla Parata della Vittoria del 24 giugno, sostenendo che “non ci sono motivi politici dietro la scelta”, che sarebbe stata esclusivamente dettata dai rischi legati al Covid19. Occorre ricordare, infatti, che prima che la data delle celebrazioni venisse rimandata a causa del virus, il presidente francese aveva confermato la propria presenza.
La terza settimana di giugno non è stata priva di novità e questo è senz’altro emblematico, poiché è la conferma che all’Eliseo e al Cremlino si sta dialogando ed anche tanto.
Il 19, Christian Cambon, il presidente del Comitato del Senato Francese per gli Affari Esteri, la Difesa e le Forze Armate, ha dichiarato che “Francia e Russia potrebbero essere le forze trainanti di un nuovo dialogo sul controllo degli armamenti”, prendendo atto del fatto che “stiamo assistendo alla distruzione del sistema sul controllo degli armamenti e al rigetto dei trattati”.
Il 26, invece, è previsto un incontro virtuale fra Macron e Putin per discutere di una serie di agende, fra le quali Ucraina, Libia e Iran. Il presidente francese ha spiegato che il focus sarà su Kiev ma non è da sottovalutare l’ipotesi che, in realtà, la videochiamata sia stata organizzata per coordinare gli sforzi a Tripoli, dove i due paesi hanno un rivale in comune: Ankara.
Un’impresa ardua
L’agenda di Macron per la Russia non gode di un supporto universale tra i diplomatici e gli strateghi del paese. Ad esempio, Le Figaro ha recentemente dato voce ai malumori dell’Istituto Francese di Relazioni Internazionali (IFRI), uno dei più influenti think tank al servizio dell’Eliseo, i cui esperti sono del parere che questa linea politica non produrrà risultati concreti.
Secondo il think tank, Macron è stato l’unico a fare concessioni, ad esempio favorendo il ritorno della Russia nel Consiglio d’Europa e mettendo in discussione la visione strategica dell’Alleanza Atlantica, ma ha ottenuto in cambio un totale immobilismo, da parte russa, nei due dossier più importanti per l’Eliseo: la Siria e l’Ucraina. Nel primo caso, l’Ifri osserva che Putin “non ha voluto o potuto influenzare Bashar al Assad, né contenere l’influenza iraniana in Siria”, mentre nel secondo caso non si è assistito ad una vera fine del conflitto.
E se, fino ad oggi, si è ottenuto poco, in futuro è probabile che si ottenga meno. Secondo Tatiana Kastouéva-Jean, la direttrice del Centro Russia dell’Ifri, la riforma costituzionale getterebbe la diplomazia francese in imbarazzo perché costringerebbe l’Eliseo a “lavorare con un paese che non finge neanche più di essere democratico”.
La stessa disillusione è condivisa da un altro noto think tank, l’Institut Montaigne. L’ex ambasciatore francese a Damasco, Michel Duclos, scrivendo per l’ente ha osservato che la pandemia, pur “lasciando aperti dei canali di dialogo con la Russia”, non dovrebbe condurre Macron all’errore di “esagerare l’ottica del dialogo, per delle ragioni di credibilità e per evitare di avvelenare [i rapporti con] i partner europei”. Secondo Duclos, infatti, vi sono poche probabilità di modificare la posizione del Cremlino nelle relazioni internazionali in un modo che soddisfi l’Eliseo.
Sui passi di Napoleone e di De Gaulle
Per capire l’agenda di Macron per la Russia è necessario spiegare quali siano gli obiettivi e la piattaforma ideologica che muovono i passi dell’ambizioso statista francese. Le parole e le azioni di Macron indicano che abbia mescolato due delle principali scuole di pensiero politico francesi: l’universalismo napoleonico ed il gollismo.
Si tratta di due concezioni del mondo che, pur essendo in parte complementari, non possono che dar luogo ad inevitabili contraddizioni in quanto impossibili da fondere in maniera coerente. Infatti, mentre l’universalismo napoleonico, di ispirazione illuminista, ha come fine ultimo l’esportazione nel mondo degli ideali liberali della rivoluzione francese, ritenuti intrinsecamente superiori, il gollismo risente maggiormente di una concezione realista della storia e delle relazioni internazionali e ha obiettivi più geopolitici che idealistici, ovvero il ritorno dell’Europa al suo storico ruolo di forza di interposizione fra Ovest ed Est.
In ciascun caso si tratterebbe di credere nell’esistenza di una civiltà europea estesa da “Lisbona a Vladivostok“, ciò che cambia è il modo in cui Parigi concepisce il proprio ruolo all’interno di essa. Nel caso dell’universalismo napoleonico si tratterebbe di costruire un ordine franco-centrico incardinato su un determinato schema di valori, nel caso del gollismo si tratterebbe di dar vita ad un sistema euro-centrico incardinato sul mutuo rispetto e sul riconoscimento e sulla valorizzazione delle differenze.
Macron è un gollista nella maniera in cui tenta di emancipare l’Europa dalla posizione di succubanza agli Stati Uniti venutasi a creare nel secondo dopoguerra, e consolidatasi con la fine della guerra fredda, ed è un novello Napoleone nella maniera in cui vorrebbe un dialogo con la Russia alle condizioni dettate dall’Eliseo. La tensione fra queste due scuole di pensiero che plasmano la concezione del mondo del presidente francese è stata resa visibile nella celebre intervista-confessione rilasciata al The Economist lo scorso novembre.
Lì, Macron, oltre a parlare della morte cerebrale della Nato, aveva elencato quelli che ritiene i talloni d’Achille del Cremlino, come l’ideologia conservatrice, sostenendo che i russi non abbiano altra opzione al riavvicinamento all’Unione Europea, perché le alternative sarebbero la ricerca impossibile dello status di superpotenza o il divenire satellite di un’orbita di potere a guida cinese.
Il fattore Stati Uniti
Sebbene la volontà di raggiungere il disgelo con Mosca sia palpabile, i piani di Macron sono ostacolati dal timore di severe ripercussioni da parte statunitense. Quel timore è il principale freno ad ogni sogno di emancipazione, e ha portato la Francia a seguire pedissequamente i dettami di Washington su ogni fronte internazionale, anche andando contro il proprio interesse nazionale, come in Iran ad esempio.
L’unico modo di ridurre il potenziale distruttivo di una guerra fredda con gli Stati Uniti è rendere l’Ue autonoma in ogni settore strategico: economia, esercito, energia, alta tecnologia. In questo contesto si inquadrano gli sforzi di Macron di convincere il resto della comunità europea a sposare l’idea dell’unione militare e di elaborare una strategia per la supremazia tecnologica.
Il presidente francese, nonostante limiti e contraddizioni, ha compreso una verità importante: l’autonomia geopolitica dell’Ue passa inevitabilmente dall’unione militare; solo attraverso essa sarà possibile eliminare il potente astro esercitato dagli Stati Uniti sul continente e procedere ad un ripensamento complessivo del progetto europeo, incluse le relazioni con la Russia.