“Non facciamoci illusioni: nulla è scontato. Il dibattito che ci sarà nelle prossime due settimane sarà decisivo per il nostro Paese e per l’Europa”. Il commento che il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron ha rilasciato dopo la pubblicazione dei primi exit poll ci dice qualcosa sia del clima sia dell’entità della partita che si svolgerà tra quindici giorni.
Il leader de La République En Marche! non dà per certo di uscire vincitore dal secondo turno: un po’ non può per prassi ed un po’ non conviene sotto il profilo strategico (la comunicazione svolge il suo ruolo e l’inquilino dell’Eliseo ha la necessità di mobilitare il suo elettorato e non solo quello). E poi Marine Le Pen spaventa più adesso che cinque anni fa.
Durante le scorse elezioni presidenziali, il Front National era ancora considerato un movimento antisistemico ed estremista. Qualcosa di arginabile con l’arco costituzionale: i partiti di governo che si compattano contro i frontisti. Ora il Fn non esiste più: c’è il Rassemblement National, un nome identificativo che, nelle intenzioni dei lepenisti, serve proprio a superare gli steccati ideologici ed a riunire tutti i francesi possibili. Nello specifico: tutti coloro che non hanno votato per il leader di En Marche! il 10 aprile. Proprio come la Le Pen ha dichiarato a stretto giro, in seguito ai primi risultati: “In gioco il 24 aprile non c’è un semplice voto di circostanza, ma una scelta di società e direi anche di civiltà”, ha subito detto, come ripercorso dall’Agi, la figlia di Jean Marie.
Macron parte con un certo vantaggio (cinque anni fa non aveva chiuso il primo turno con cinque punti percentuali in più rispetto alla sua competitor e non aveva abitato all’Eliseo per cinque anni) ma Marine Le Pen non ha mai avuto tanti bacini elettorali contendibili ed acquisibili tra le formazioni ed i leader politici che sono rimasti fuori dopo il primo turno.
Il presidente della Repubblica è soprattutto consapevole di una statistica: i voti attribuibili a quelli che la politologia chiama forze sovraniste o populiste, ossia alla Le Pen, a Zemmour e a Mélenchon, superano di gran lunga il 50%. E cioè le forze potenzialmente antimacroniane, se schierate tutte insieme (ipotesi abbastanza peregrina), lo batterebbero. Jean Luch Mélenchon e la sua France Insoumise hanno già fatto sapere quale sarà l’indicazione di voto: “Ora tocca a voi – ha osservato il candidato della sinistra massimalista – Noi sappiamo per chi non voteremo mai. I francesi sanno cosa fare, sono capaci di decidere cosa devono fare. Non dovete dare un voto a Marine Le Pen”. Ma controllare l’elettorato ed i suoi comportamenti non è così automatico. E fare le sommatorie, in politica, paga spesso male.
Il rischio, comunque presente per i macroniani, è che una parte consistente della France Insoumise vada a votare Marine Le Pen. Bisognerà comprendere le percentuali. Quelle a cui andranno aggiunti i voti, parecchi, tra quelli che ha preso Eric Zemmour e la sacca di preferenze dell’altro candidato di destra, Nicolas Dupont-Aignan, più qualcosa di proveniente dai Les Républicains. Sulla carta, appunto, “nulla è scontato”. E la base statistica consiglia di evitare di buttarsi in previsioni azzardate. Certo, una vittoria di Marine Le Pen sembra abbastanza improbabile ma i fenomeni elettorali occidentali hanno già dimostrato di essere in grado di stupire (basti pensare a Donald Trump o alla Brexit).
Come deducibile dal primo commento rilasciato, Emmanuel Macron centrerà tutta la sua campagna elettorale (sino a questo momento non ha partecipato a molti comizi o ad incontri di piazza) su quello che accadrebbe nel caso in cui i lepenisti dovessero vincere. Macron, con ogni probabilità, porrà accenti sulle presunte continuità tra la Le Pen e Vladimir Putin, ventilando la certezza che, con Marine all’Eliseo, la Francia sia destinata ad uscire tanto dalla Nato quanto dall’Unione europea. I toni sono insomma destinati ad alzarsi molto.