Liz Truss è appesa ad un filo. La politica inglese sta toccando il fondo e Westminster è nel caos in barba all’ormai perduto self control britannico. Ormai non esiste persona, quotidiano, blog, tweet che non scommetta sulla fine prematura ed imminente del primo ministro meno amato della storia inglese.
Alla prova dell’aula, martedì 19 ottobre, Truss ha cercato di mostrare le unghie difendendo la sua posizione con forza e slogan come: “Sono una che combatte, non una rinunciataria”.
Peccato che mentre lei si sforzava di difendere una posizione indifendibile, il suo consigliere a capo della comunicazione, Jason Stein (che prima lavorava per il principe Andrew), veniva posto sotto indagine e sospeso dall’incarico e nel giro di un’ora saltava anche la testa del secondo ministro.
Dopo il Cancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng, licenziato quattro giorni prima, questa volta a fare le valigie dopo 43 giorni è stato il ministro dell’Interno Suella Braverman.
In questa decisione, formalmente motivata da “un errore” commesso nell’esecuzione del suo incarico, ci sarebbero forti divergenze sulle politiche per l’immigrazione e si potrebbe leggere una mossa estrema di Truss per cercare di mettersi in casa l’esponente di una fazione critica nei confronti del governo disinnescando i nemici interni.
Un’altra spiegazione inoltre potrebbe essere ricercata nell’effettiva presa del potere da parte del nuovo Cancelliere dello Scacchiere, Jeremy Hunt.
Politico di lungo corso, ex Segretario di Stato per gli Affari Esteri, la Sanità e poi la Cultura, Hunt starebbe prendendo le redini del comando nel tentativo di riportare i Conservatori verso il centro, distanziandosi dall’ala più radicalmente a destra del partito.
Il nuovo ministro dell’Interno nominato a stretto giro, infatti, sarebbe il moderato Grant Shapps, ex ministro dei Trasporti nell’esecutivo di Boris Johnson ed in carica fino al 6 Settembre scorso, con l’arrivo di Truss.
Insomma, anche questo avvicendamento sarebbe un ultimo, ennesimo tentativo di salvare la poltrona al primo ministro e ai conservatori che, alle prossime elezioni, saranno falcidiati.
Oggi sono 365, ma secondo una stima effettuata da Redfield & Wilton Strategies il 17 ottobre, se si andasse al voto in queste condizioni, i conservatori ridurrebbero la loro presenza in aula a 22 deputati, perdendone 343, a tutto vantaggio dei Laburisti che invece ne recupererebbero 313 arrivando a quota 515, con un vantaggio di 380. Un +36 sarebbe registrato anche dai Lib Dem che potrebbero arrivare a 47 eletti.
Non è una questione di se, ma di quando Truss se ne andrà
Queste parole circolano insistentemente tra i corridoi di Westminster e ricordano esattamente quelle che soffiavano alle spalle di Johnson all’inizio dell’anno quando, come un pesce nella rete, si giocava il tutto per tutto pur di salvare il salvabile e se stesso.
Ma ora il problema è molto diverso, Truss non ha commesso errori di natura etica, frutto di un comportamento sopra le righe.
Liz Truss ha pestato i piedi al Paese generando sfiducia nei mercati, scaraventando la sterlina ai minimi, non arrestando i rimbalzi sull’inflazione sui mutui e sull’economia inglese.
Praticamente le sue politiche confuse ed in continua contraddizione hanno distrutto la reputazione e la solidità del Regno Unito ad ogni annuncio, salvo poi venire rettificate.
L’inflazione, si diceva, ha raggiunto quota 10,1% nel giro degli ultimi 12 mesi, l’aumento dei prezzi è salito ad una velocità che non ha precedenti negli ultimi 40 anni ed il costo dei generi alimentari ha contribuito ad incendiare le paure.
In ballo poi ci sono le pensioni e gli aumenti progressivi che dovrebbero scattare in aprile (il triple lock introdotto dal governo Cameron con i Lib Dem, nel 2010) in linea con il più alto dei tre fattori rappresentati da: inflazione, aumento dei salari o 2,5%.
Hunt, fresco di nomina, nel primo discorso ufficiale aveva escluso nuove promesse e futuri impegni del governo in materia, almeno fino al 31 ottobre quando verrà presentato un piano fiscale a medio termine.
Ma sono bastate 48 ore per regalare a Truss l’occasione per rimangiarsi tutto e distinguersi in una nuova giravolta: “Come indicato nel nostro programma elettorale, noi garantiremo gli aumenti progressivi delle pensioni in adeguamento all’inflazione”, ha scandito.
Hunt smentito ed impietrito
Le pensioni sono una questione delicatissima, insieme al carrello della spesa superano il potere dei mercati sull’opinione pubblica, soprattutto nelle famose Red Walls, le zone tradizionalmente legate ai Laburisti che, sull’onda del carisma e delle promesse fatte nel 2019 avevano seguito in massa Boris Johnson.
Truss ora deve iniziare a fronteggiare la sfiducia e la rabbia di chi vede tradita ogni speranza e non sa quanto durerà la parola data da un primo ministro senza più alcuna autorevolezza.
Il fuoco amico
A ruota, tra i suoi peggiori detrattori seguono i Tories che armano il fuoco amico, molto più pericoloso ed agguerrito delle azioni messe in campo dalle opposizioni.
La lista dei deputati conservatori che chiedono le dimissioni di Truss si allunga lentamente, dai mugugni dei corridoi alle azioni concrete il passo è sempre più breve. Sembra davvero di ripercorrere il destino di Johnson, quando ormai si sentiva l’odore del sangue e tutti i nodi venivano al pettine insieme a sciabolate inferte nel caos senza più freni.
Il tentativo estremo dei Tories è quello di scongiurare le elezioni limitandosi all’ennesimo avvicendamento alla guida del partito e del governo. Una campagna elettorale anticipata, magari a Febbraio del prossimo anno, come dimostrano le stime odierne sarebbe una catastrofe.
Sir Charles Walker, esponente del Comitato del 1922, il gruppo parlamentare del Partito conservatore alla House of Commons, intervistato da Sky News ha confermato che se Truss non se ne andrà con le sue gambe verrà comunque defenestrata nel giro di una, massimo, due settimane. Insomma, per novembre si avrà un nuovo primo ministro.
Chi sarà il successore di Truss?
Per dirlo può essere utile guardare nuovamente ai numeri. L’ultimo sondaggio effettuato da YouGov (il 17 e il 18 ottobre) tra 530 membri del partito conservatore, ovvero tra coloro che sei settimane prima l’avevano votata, il 55% vorrebbe le sue dimissioni; solo il 38% la terrebbe ancora in carica.
In alternativa, il 55% degli intervistati oggi voterebbe Rushi Sunak, l’ex Cancelliere dello scacchiere che affondò Boris Johnson ma perse la sfida contro Truss conquistando gli eletti ma non gli iscritti. Qualcuno sostiene che tra una giravolta e l’altra lei, che aveva combattuto le proposte economiche del rivale di origine indiana, oggi di fatto starebbe attingendo direttamente a quelle stesse strategie per cercare di rassicurare i mercati e mettere una pezza ai guai combinati.
Tornando agli intervistati, il 63% pensa che il ritorno di Boris Johnson sarebbe la miglior soluzione possibile, con un 32% che lo metterebbe al primo posto tra i candidati alla successione. (E di questo avevamo già scritto una settimana fa).
Il 47% dei conservatori vede di buon occhio anche l’ipotesi di Jeremy Hunt alla guida del governo, per lui il sogno di una vita, ma gli mancano molti numeri. Alle primarie della scorsa estate arrivò ottavo su otto candidati, ecco perché potrebbe essere conveniente lasciare lo status quo evitando l’ostacolo e lasciando agire Hunt come primo ministro de facto.
Dalle intenzioni ai fatti, a Westminster la situazione è veramente fuori controllo e lasciando stare le ironie sull’italianizzazione della politica inglese, sono già partite le lettere formali e le pesanti dichiarazioni di dissenso.
Il primo ministro sta licenziando tutti gli amici fidati di cui si era circondata, ora è sempre più isolata ed esposta. Se è vero che i nemici è meglio tenerli vicini, è altresì vero che un esecutivo fatto di “compagni di viaggio per necessità” trasforma Liz Truss in un ostaggio che non avrà autonomia né alcun potere decisionale, ma sicuramente accorcerà i tempi di questa agonia.