La vigilanza bancaria della Bce si interessa, finalmente, a Deutsche Bank. Dopo anni passati a concentrarsi eccessivamente sui costosi e tartassanti stress test per la tenuta dei portafogli di investimento, ritenendo che la maggiore problematica per gli istituti europei fossero i crediti deteriorati di cui erano zeppi i portafogli delle banche italiane (da Mps a Carige), Francoforte mette nel mirino il suo colosso concittadino. Il vero “malato d’Europa”, una banca dissestata da anni di gestioni scriteriate, oberata di debiti, inseguita da cause legali che hanno causato esborsi per miliardi di euro, coinvolta in scandali di cui l’ultimo esempio è quello di Danske Bank e, soprattutto, piena zeppa di una massa critica di derivati pari a 14 volte il Pil tedesco (48 trilioni di euro), superiore al totale che è nella pancia di tutte le big giapponesi messe assieme (32 trilioni), potenziale detonatore di una nuova crisi finanziaria.
Ufficialmente, sottolinea Il Messaggero, ” non è per la montagna di derivati che si trovano ancora nei bilancio di Deutsche Bank, nonostante la pulizia degli ultimi anni, che si è aperto il caso Deutsche. Ma l’istituto di Francoforte deve avere i suoi importanti motivi per fermare la prospettiva di una fusione con Commerzbank, pronta a decollare nel 2019″. Fusione che andrebbe a creare in Germania un attore capace di muoversi su scala planetaria.
Con quasi 2 mila miliardi di euro in attivi totali (2,3 trillion di dollari), la società risultante dalla fusione tra Deutsche Bank e Commerzbank sarebbe la terza più grande banca europea dopo Hsbc e Bnp Paribas. L’operazione, dunque, studiata ufficialmente per ovviare ai problemi di sottocapitalizzazione di Deutsche Bank, che ha perso in un anno il 50% della quotazione ed è ora forte di un capitale di soli 15 miliardi di euro, avrebbe dei risvolti geoeconomici di ampia portata e, al tempo stesso, rischierebbe di cambiare notevolmente i rapporti di forza nell’Eurozona.
Come sottolinea StartMag, ciò ha aperto la strada ai principali timori della Bce, finora rimasta silente e passiva di fronte alle manovre condotte con discrezione a Berlino: “Secondo indiscrezioni, Francoforte avrebbe espresso la sua predilezione per una fusione transnazionale che coinvolga cioè Deutsche e un altra grande banca europea. L’operazione, fra l’altro, favorirebbe l’integrazione finanziaria del continente e troverebbe l’appoggio della Bafin che considera rischiosa l’unione fra due istituti in difficoltà come Deutsche e Commerz. I manager di Deutsche Bank avrebbero già individuato il candidato ideale: la svizzera Ubs. Difficile, se non impossibile, però, che il governo tedesco dia il suo benestare. Almeno nel breve termine”.
Il governo tedesco, azionista al 15% di Commerzbank, vuole infatti dare un colpo al cerchio ed uno alla botte unendo il rafforzamento dei suoi colossi del credito alla conquista di una rendita di posizione finanziaria. Il fatto che la vigilanza Bce abbia aperto gli occhi sul caso Deutsche Bank solo per prevenire questo fatto e non per richiamare il colosso tedesco a migliorare la sua posizione sui derivati, però, è emblematico. Cercare di consolidare le banche del continente senza prendere consapevolezza del fatto che sono questi prodotti opachi e in larga misura tossici la vera spada di Damocle che pende sul settore finanziario internazionale è pura utopia. Specie se si considera che ultimamente è esploso il costo per assicurare il debito di Deutsche, con i Cds passati in un anno da 60 a oltre 200 punti che ne segnalano tutta l’instabilità, si capisce che forse non sono solo i crediti deteriorati a rappresentare un problema per le banche. In un contesto in cui una massa di derivati si innesta su un debito mondiale da 2,2 milioni di miliardi di euro, Deutsche Bank è uno degli istituti che potrebbe portare la finanza mondiale a rischiare, letteralmente, l’osso del collo. E nessuna fusione potrà mai cambiare questa situazione.