Non più Clinton contro Trump. Ma Clinton contro Trump e contro Putin. Il presidente russo, infatti, a sua insaputa è stato coinvolto in prima persona, dalla candidata democratica alla Casa Bianca, nella campagna elettorale per le presidenziali americane. Secondo Hillary Clinton, infatti, ci sarebbe proprio la Russia dietro la diffusione, operata da Wikileaks, di quasi 20mila email che hanno messo in imbarazzo il Partito democratico, dimostrando come i vertici dell’“Asinello” abbiano di fatto sabotato la campagna di Bernie Sanders per favorire la “nomination” della Clinton. Un vero e proprio scandalo che ha sollevato un polverone all’interno del partito.Da quando è stato pubblicato sul web il contenuto delle email quindi, la Clinton non ha mai smesso di accusare i servizi segreti russi di avere orchestrato l’operazione per favorire il candidato repubblicano, Donald Trump. Allusioni in questo senso sono arrivate, la scorsa settimana, anche dallo stesso presidente Barack Obama. La campagna elettorale americana si è, così, presto trasformata, in un confronto a tre, in cui è stato inserito, suo malgrado, pure il presidente russo, nonostante il Cremlino abbia più volte smentito qualsiasi coinvolgimento nell’affaire delle mail del Partito democratico. “Accusare hacker russi di alcune azioni non è la stessa cosa che accusare la leadership russa o il governo russo”, ha ribadito lunedì il portavoce di Vladimir Putin, Dmitrj Peskov in riferimento alle accuse della candidata democratica alla Casa Bianca. “Le dichiarazioni”, ha proseguito Peskov, “per cui la Russia è dietro le azioni di alcuni hacker sono anche assurde perché la Russia è una nazione”. Per Mosca le accuse della Clinton sarebbero, quindi, soltanto una copertura “per nascondere il fatto che la campagna elettorale democratica sia stata manipolata”.Senza entrare nel merito della questione, lo scambio di accuse tra la Clinton e il Cremlino, mostra già chiaramente quale piega potrebbero prendere le relazioni bilaterali tra Russia e Stati Uniti se la Clinton fosse eletta alla Casa Bianca. Del resto, infatti, tra l’ex segretario di Stato americano e il presidente russo, non è mai corso buon sangue. Anzi. Già all’epoca della Clinton first lady, l’allora presidente americano preferiva di gran lunga relazionarsi con Boris Eltsin, piuttosto che con il giovane Vladimir Putin, impegnato nella risoluzione della crisi cecena. Ma ci sono state molte altre occasioni di scontro, in seguito, fra la Clinton segretario di Stato americano e il presidente russo. Il Washington Post le ha ripercorse per andare a scovare le “radici dell’ostilità” tra la candidata democratica alla Casa Bianca e il presidente russo durante i quattro anni in cui la Clinton fu a capo del Dipartimento di Stato. Ma anche dopo, alla vigilia dello scoppio della crisi ucraina.A partire da quando l’ex first lady definì le elezioni russe nel 2011 “né libere né eque”, schierandosi apertamente in supporto delle proteste anti-governative a Mosca. Tra le “vecchie ruggini” elencate dal quotidiano statunitense c’è poi quella del silenzio sull’approvazione da parte del Congresso del Magnitsky Act, che disponeva sanzioni contro funzionari russi colpevoli di violazioni dei diritti umani. La Clinton, ricorda il quotidiano, fu anche tra coloro che spinsero per l’intervento armato in Libia contro Gheddafi. Un’operazione che Mosca giudicò subito come una violazione della sovranità nazionale dello Stato libico. Ultimo, ma non ultimo, a testimoniare l’ostilità della Clinton nei confronti di Putin, c’è stata la visita nel 2013 a Yalta, alla vigilia delle proteste che portarono al rovesciamento del governo di Janukovich a Kiev, per supportare l’accordo di adesione tra l’Ue e l’Ucraina. In quell’occasione la Clinton aveva definito la creazione dell’Unione Economica Eurasiatica da parte di Mosca, un tentativo di “risovietizzazione” del proprio “giardino di casa”.Se la Clinton dovesse diventare la prima donna presidente americano, quindi, secondo il Washington Post, vorrebbe continuare l’opera iniziata dal marito Bill nei confronti di Mosca. L’ex presidente americano provò, infatti, a “guidare la Russia verso nuove riforme politiche ed economiche”. Un tentativo “abbondantemente fallito” però, con l’avvento al potere di Vladimir Putin.
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