L’Europa sta perdendo una delle sfide cruciali per il suo futuro. Una sfida che si chiama Africa e che per il momento vede in testa la Cina. Settembre è stato il mese che più di tutti ha visto una crescente attenzione per lo sviluppo africano, intesto come opportunità economiche e commerciali. Il 12 settembre il presidente uscente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker ha tenuto il suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione. Uno dei passaggi chiave ha riguardato un grande piano per Africa. Lanciando la proposta per un grande piano di libero scambio con il Paese che secondo la Commissione potrebbe sbloccare dieci milioni di posti di lavoro in cinque anni.

In realtà, come è già stato raccontato su Gli Occhi della guerra, un piano per il continente africano esiste già, si chiama Programma Panafricano e ha previsto uno stanziamento da 845 milioni di euro dal 2014 al 2020. Quel piano però non ha prodotto i risultati sperati. Forse per i meccanismi di stanziamento o forse per le cifre in gioco. Un dato su tutti, quello del Kenya che è tra i maggiori beneficiari del programma e che non ha visto particolari mutamenti nel tasso di disoccupazione, che è l’indicatore che più interessa all’Europa perché viene collegato ai flussi migratori.

Per capire ancora meglio come le mosse europee siano inconsistenti bisogna fare un piccolo passo l’indietro, al 3 settembre, quando si sono aperti i lavori del settimo forum sulla cooperazione sino-africana. Una due giorni a Pechino per fare il punto sui piani di investimento della Repubblica popolare in Africa. In questa sede il presidente cinese Xi Jinping ha promesso che nei prossimi anni verranno stanziati nuovi prestiti per un totale di 60 miliardi di dollari. Oltre alla cancellazione del debito di altri Paesi. Ma i flussi di denaro che vanno da Pechino alle grandi capitali africane (la Cina ha legami con 53 paesi su 54) non si fermano alle ultime promesse.

In 17 anni quasi 150 miliardi di prestiti all’Africa

Ci sono vari indicatori con cui si possono osservare i flussi cinesi verso l’Africa. Uno di questi riguarda i prestiti. I 60 miliardi promessi recentemente si vanno infatti ad aggiungere a quelli donati negli ultimi 17 anni. Secondo i dati raccolti dal Sais, (la School of Advanced International Studies) tra il 2000 e il 2017 il governo cinese, le banche e veri fondi hanno pompato in Africa, a governi o aziende di Stato, qualcosa come 143 miliardi di dollari.

Il Paese che ha beneficiato del più grande piano di prestiti è stato l’Angola che in 17 anni ha ricevuto 42,2 miliardi di dollari. Al secondo posto si è piazzata l’Etiopia con 13,7 miliardi e il Kenya con 9,8 miliardi. Quarta piazza invece per la Repubblica del Congo (7,4 mld), quinto il Sudan. In generale i primi dieci destinatati hanno ricevuto qualcosa come 100 miliardi di prestiti. Tra i settori che hanno beneficiato di più ci sono: i trasporti (38 mld), l’energia (30 mld) e le attività estrattive (19 miliardi).

Come scrive chiaramente il Sais, la natura dei fondi è variegata. In mezzo ci sono sia prestiti definiti “aiuti allo sviluppo”, che soldi intesi come crediti all’esportazione, crediti ai fornitori o crediti commerciali, tutte formule che non sono concesse in forme agevolate. Basti pensare che ogni abitante del Angola ha un debito di 745 dollari con Pechino. Ma i prestiti non sono l’unico indicatore da guardare per comprendere i profondi legami che si sono creati tra Cina e Africa.

Tra import ed export una bilancia commerciale che piace alla Cina

L’altro grande intreccio riguarda importazioni ed esportazioni. La Cina ha una crescente fame di materie prime che proprio l’Africa è in grado di soddisfare. Allo stesso tempo Pechino ha necessità di trovare uno sbocco sempre maggiore per la propria industria manifatturiera. Ma, come ha osservato la ricercatrice Alessia Amighini sul sito lavoce.info,esiste uno squilibrio notevole sul lato degli scambi commerciali. Squilibrio che è aumentato dopo il 2014. Nel 2015 la Cina ha esportato beni per un valore di circa 150 miliardi a fronte di importazioni per circa 38. Il calo non deriva da un minore import quantitativo, ma da una riduzione del valore dei beni spediti verso Pechino. I Paesi africani, come nel caso dell’Angola, vendono ai cinesi soprattutto materie prime, che sono soggette a oscillazioni del mercato molto più volatili rispetto ai manufatti a basso costo prodotti dall’industria di Pechino.

In questo senso i partner commerciali più importanti per la Cina in Africa sono pochi ma significativi. Sommando i dati del Sais per il periodo 1992-2016 il Paese che ha beneficiato di più del rapporto è stato il Sudafrica che ha esportato per un totale di 231 miliardi a fronte di importazioni da 142. Discorso più sbilanciato per la Nigeria che ha importato beni per quasi 105 miliardi di euro a fronte di un export fermo a una decina di miliardi. Il problema della crescente asimmetria si manifesta in una difficoltà a ridurre lo squilibrio, una posizione che tutto sommato piace a Pechino. E infatti dei 60 miliardi promessi 15 figurano come “aiuti” o prestiti a interessi zero. Venti come linea di credito e dieci come fondi speciali per lo sviluppo. Ma soltanto cinque verranno spesi per migliorare le importazioni dall’Africa.

Il crescente peso degli investimenti diretti cinesi

C’è infine un altro interessante indicatore quello degli investimenti diretti. Sempre secondo i dati raccolti dal Sais si scopre infatti che tra il 2009 e 2012 gli investimenti diretti sul suolo africano sono cresciuti al ritmo del 20% annuo (è bene spiegare che il picco del 2008 è dovuto all’acquisizione del 20% delle azioni della Standard Bank in Sudafrica). Quest’ultimo punto va però contestualizzato. Come  ha scritto l’Unctad (la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo) nel suo rapporto sugli investimenti globali per il 2018, le cosiddette economie avanzate (Usa, Regno Unito e Francia) sono ancora il primo attore, ma la rapida crescita cinese potrebbe presto portare un sorpasso proprio ai danni della Francia. E infatti, se osserviamo i primi sette partner della Cina sul piano degli investimenti, oltre al Sudafrica notiamo l’Algeria che fra il 2003 e il 2015 ha raccolto 2,2 miliardi di dollari per acquisizioni e fusioni con aziende locali, e 11,8 come fondi per l’avvio di nuove attività.

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