L’orizzonte temporale che separa Londra e Bruxelles dal fatidico appuntamento di marzo, che segnerà la concretizzazione della Brexit, si va assottigliando giorno dopo giorno, e mentre nel governo di Theresa May le scintille non cessano anche la finanza basata nella City della capitale britannica, prima piazza al mondo assieme a Wall Street, osserva e prepara le sue prossime mosse.
Dopo il voto sulla Brexit, infatti, la finanza londinese è rimasta a lungo indecisa sul da farsi: lasciare il Regno Unito per cercare una base nel continente? Cavalcare l’idea del Partito Conservatore di una global Britain capace di essere polo di influenza mondiale autonomo nella finanza? Tra il mito di un nuovo “splendido isolamento” e il panico irrazionale la City ha scelto la più britannica delle linee di condotta: attendere razionalmente, giudicando strada facendo il da farsi.
La permanenza al governo di Theresa May ha portato la City, che vede nei laburisti di Jeremy Corbyn la minaccia principale alla tenuta della sua posizione, a guardare con favore l’idea di una permanenza nella Gran Bretagna autonoma da Bruxelles ma, al tempo stesso, i dati sull’economia britannica segnalano come l’incremento dei salari e dell’occupazione abbia coinciso con un’erosione delle rendite borsistiche delle principali società britanniche.
Il nodo più importante della questione finanziaria ruota attorno a una sigla probabilmente sconosciuta ai più, ma fondamentale per il funzionamento della City: Lch, ovvero London Clearing House. Il futuro della società così denominata, infatti, segnerà i futuri equilibri dei rapporti finanziari euro-britannici. In una dinamica che potrebbe coinvolgere anche Piazza Affari.
Cos’è Lch, la camera di compensazione della City
La penna chiara e esperta di Roberto Sommella ci guida nella comprensione di cosa sia la Lch. “A Bruxelles da tempo si sta studiando una revisione tutta a favore degli europei degli accordi sulle stanze di compensazione finanziaria dei prodotti venduti sui mercati, in pratica dove si fanno i calcoli del dare-avere a fine giornata. Ebbene, la Commissione Europea vorrebbe riportare nello spazio comunitario un rigido controllo appunto ”dell’euro clearing market”, predisponendo una centralizzazione della vigilanza”, scrive Sommella su Formiche.
“I tre quarti dei derivati denominati in euro nel mondo vengono infatti scambiati nella City, per un controvalore nozionale di 850 miliardi al giorno”, continua. “Una cifra immensa che permette grandissimi guadagni sulle commissioni: gli inglesi non ci rinunceranno mai, a meno di arrivare alle maniere forti o tornare sui propri passi. La prima candidata a scippare questa gallina dalle uova d’oro alla London Clearing House”, società privata che appunto gestisce tale giro d’affari colossale, “potrebbe essere la borsa di Francoforte, ma anche quella di Milano”.
Milano, dalla sua, ha l’unità di gestione con la London Stock Exchange, che è proprietaria di Piazza Affari. Lse di recente ha provato a rafforzare la sua presa su Lch acquistandone di recente un’ulteriore 15% delle quote e portando la sua partecipazione all’80%, come segnalato da Sky News.
Basterà ciò per mantenere vincolato a Londra un sistema che gestisce il 90% del clearing denominato in euro? Difficile dirlo. Ma ci sentiamo di consigliare al governo Conte di iniziare a pensare a un piano per attrezzare Piazza Affari per un atterraggio della City.
Perché a Milano conviene ereditare la Lch
Scrivendo sul suo sito, nel 2017, del possibile trasferimento a Milano dell’Agenzia del Farmaco (poi sfumato), del trasbordo sul continente delle istituzioni bancarie comunitarie e del passaggio oltre Manica della City, Aldo Giannuli ha sottolineato come Milano potrebbe rappresentare un’opzione vincente per la finanza britannica rispetto a Parigi e Francoforte, in primo luogo per questioni geopolitiche: “Germania e Francia sono concorrenti dirette dell’Inghilterra (o di quel che ne resta), per cui un loro rafforzamento (soprattutto della Germania che già ospita la Bce proprio a Francoforte) non è visto di buon occhio dalla parte inglese della City che, come è ovvio, è maggioritaria”.
Il secondo ordine di ragioni è di tipo finanziario: nel 2014 “la società che gestisce la Borsa di Londra acquistò anche quella di Milano, per cui, in qualche modo, sarebbe un modo per continuare a gestire “in casa” gli affari che furono della City”.
Milano ha le carte in regola per poter ospitare una transizione della componente in euro della clearing house londinese nel caso in cui ciò diventerà praticabile. Parliamo di funzioni che, da sole, valgono l’1% del Pil del Regno Unito ogni anno. Un altro fronte importante riguarda la necessità di rafforzare le competenze Antitrust e mercato unico per formare i professionisti del futuro dell’Unione a 27 senza Londra alle gestione del rapporto con il vicino insulare. Una sfida importante che potrebbe cambiare il peso globale, già non ininfluente, del capoluogo lombardo.
“Abbiamo tempo fino al 31 dicembre 2020 per decidere se siamo in grado di scippare questa leadership, finanziaria e giuridica, a chi ha deciso di lasciare il mercato unico e la deprecata Unione europea. Non provarci sarebbe un delitto”, conclude Sommella. E non possiamo che controfirmare: del resto, il fatto stesso che la City di Londra abbia il suo centro in Lombard Street dovrebbe essere benaugurante.