Tradimento è la parola che risuona maggiormente nelle ultime ore in relazione alla decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di ritirare i soldati presenti nel Nord est della Siria lasciando così mano libera alla Turchia che da mesi minaccia un’invasione dell’area a maggioranza curda. La mossa del Tycoon, osteggiata dai suoi stessi uomini e dal Pentagono, ha come obiettivo anche quello di ricucire i rapporti con la Turchia, soprattutto dopo l’acquisto da parte di Ankara dei sistemi missilistici russi e la sospensione della vendita di F-35 americani all’alleato Nato. Ma anche quella, spiegata dallo stesso presidente, di evitare di rimanere impantanato in una guerra che Trump non vuole (da sempre) proseguire.
Proprio l’appartenenza di entrambi i Paesi all’Alleanza Atlantica è motivo di preoccupazione per ambo le parti: la Turchia minaccia da mesi di avviare un’operazione militare nel Nord est della Siria, ma la presenza di soldati americani aveva funzionato da deterrente costringendo il presidente turco a cercare un accordo con la controparte statunitense. Accordo che era stato inizialmente trovato, ma che non sarà implementato dato che Trump ha deciso di non prendere parte a nessuna operazione sul terreno, pur avendo in un secondo momento minacciato il presidente turco che ci saranno ripercussioni in caso di un eccessivo uso della forza contro i curdi.
Il regalo alla Russia e all’Iran
Come spiegato sempre su InsideOver da Fulvio Scaglione, gli Stati Uniti hanno abbracciato ancora una volta la linea di Israele e Arabia Saudita, concentrando i loro sforzi contro il nemico comune (o almeno percepito come tale) nell’area: l’Iran. Peccato però che la mossa americana potrebbe finire con il favorire proprio coloro che Trump e i suoi alleati puntano a indebolire. Il ritiro delle forze americane lascia una sola strada ai curdi, oltre a un’autodifesa ben poco possibile contro il secondo esercito di terra più forte della Nato: un’alleanza con il governo di Assad e i suoi sostenitori, ossia la Russia e lo stesso Iran. Una simile prospettiva era già stata presa in considerazione dell‘Amministrazione autonoma del Rojava a fine del 2018, la prima volta in cui il presidente Trump aveva ventilato l’idea di lasciare la Siria.
Adesso, con il ritiro effettivo delle truppe americane dal Nord est, questa ipotesi sembra l’unica percorribile per evitare la distruzione totale del Rojava e salvare almeno in parte i risultati raggiunti in termini di autonomia. Il presidente russo d’altra parte ha più volte cercato un riavvicinamento con i curdi, con l’intento di sottrarli all’influenza americana e riprendere almeno in parte il controllo di un’area che oltre a rappresentare il 30 per cento della Siria, ha anche una valenza strategica data la presenza di importanti giacimenti. Ufficialmente, la Russia e l’Iran si sono espressi contro le minacce turche di invadere il Nord est del Paese sottolineando l‘importanza dell’integrità territoriale del Paese, ma la mossa di Erdogan fa il loro gioco, ponendoli prima di tutto in una posizione di forza nelle future relazioni con i curdi.
Una strategia controproducente?
Come detto, uno degli obiettivi di Trump è lasciare la Siria per concentrarsi maggiormente sull’Iran, ma proprio il governo degli Ayatollah vede con favore il ritiro americano dal Paese. Venuta meno la presenza statunitense in Siria, gli iraniani potrebbero approfittarne per aumentare la propria presenza sul territorio contando sul ripristino dell’autorità del loro alleato Bashar al Assad, una volta finita la guerra. Il maggiore obiettivo di Teheran è da sempre quello di espandere la propria influenza dall’Iran fino al Libano, passando per l’Iraq e per la Siria. Un sogno difficile da realizzare data la presenza di altri attori regionali ben intenzionati a limitare l’espansione iraniana, ma ciò non toglie che la decisione di Trump sembra favorire proprio chi si desidera indebolire. A tutto discapito di uno dei maggiori alleati regionali degli Stati Uniti, ossia Israele, che oltre a dover fare i conti con un rafforzamento iraniano a pochi passi dai suoi territori rischia di fronte a un Erdogan più forte politicamente.