Il 2 dicembre 2010 a Zurigo tutto il mondo del calcio e non solo si era radunato per una delle giornate più importanti nella storia recente dello sport più popolare al mondo. In quella data infatti c’erano in palio le assegnazioni di ben due mondiali: quello del 2018 e quello del 2022. Secondo l’ordine voluto dalla Fifa, il primo doveva andare all’Uefa, ossia alla confederazione europea, l’altro invece a un Paese asiatico oppure nordamericano. Alla vigilia i pronostici davano quasi per certe le assegnazioni delle competizioni rispettivamente ad Inghilterra e Stati Uniti. Ma le sorprese erano dietro l’angolo: in quella serata il mondiale 2018 è andato alla Russia, quello del 2022 al Qatar. Quest’ultimo soprattutto ha rivoluzionato la geografia calcistica, ma ha avuto alcune delle più recenti implicazioni di natura politica legate al mondo del pallone.

L’investimento di Doha nel calcio

Non era la prima volta che il Qatar faceva parlare di sé per notizie relative al calcio. Nell’estate del 2003 ha fatto scalpore la firma per l’Al Arabi, squadra di Doha, del campione argentino Gabriel Batistuta. É stata questa una delle prime mosse delle autorità dell’emirato in tema di Soft Power. Il Paese ha iniziato a investire nel calcio, diventando tra le prime nazioni dell’area del Golfo a puntare sullo sport per la propria immagine all’estero. Perno di questa strategia sono stati i Giochi d’Asia di Doha 2006, che hanno portato nella capitale del Qatar migliaia tra atleti, giornalisti e tifosi. Così come anche le gare di motociclismo, ospitate a partire dal 2004 sul circuito di Losail. Negli anni successivi, è stato comunque il calcio la principale arma di Soft Power sportivo per il Qatar. A dimostrarlo le numerose sponsorizzazioni di società riconducibili a Doha sia di club europei importanti che di competizioni calcistiche.

Gli investimenti nello sport sono riconducibili alla Qatar Investment Authority, fondazione creata nel 2005 con l’obiettivo di convogliare buona parte dei proventi della vendita di gas e petrolio, le principali risorse naturali esportate all’estero. All’interno del fondo, un ramo si occupa specificatamente degli investimenti sportivi: si tratta del Qatar Sport Investiment (QSI). Nel 2012 il QSI ha acquistato il club francese del Paris Saint Germain, con l’obiettivo di portarlo alla vittoria anche in Europa e rispondere ai “rivali” degli Emirati Arabi Uniti, i quali nel 2010 avevano già fatto analogo investimento con la squadra inglese del Manchester City. Ma indubbiamente perno della strategia qatariota è stato rappresentato dall’assegnazione dei mondiali del 2022. Si tratta della seconda competizione sportiva internazionale più importante in assoluto, seconda solo alle olimpiadi. Un appuntamento che farà puntare sul Qatar i riflettori di tutte le televisioni del mondo.

Le polemiche dopo l’articolo del The Guardian

L’ottenimento del mondiale ha da subito sollevato molte osservazioni. In primo luogo di carattere sportivo. In Qatar infatti è impossibile giocare in estate per via delle alte temperature. Per la prima volta da quando è stata ideata, la coppa del mondo si giocherà in inverno, con quindi uno stravolgimento anche dei tradizionali calendari calcistici. Ma non sono mancate anche polemiche sulla stessa assegnazione del mondiale. La prima inchiesta sulle modalità con le quali il Qatar ha vinto la corsa contro la candidatura statunitense è del 2014, firmata dal Sunday Times. Nel reportage si parlava in particolare di possibili tangenti elargite dal dirigente qatariota Mohammed bin Hammam per pilotare il voto che avrebbe assegnato la competizione sportiva. Le accuse sono state rinnovate anche nel 2018, alla vigilia dei mondiali in Russia. Tuttavia sia nel 2014 che quattro anni più tardi, la Fifa ha dichiarato di non aver trovato prove a sostegno della tesi del Sunday e che, complessivamente, le procedure di voto si sono svolte in modo regolare. 

Le principali polemiche relative al mondiale del 2022, in questi anni hanno riguardato le condizioni di lavoro degli operai impegnati nella costruzione dei nuovi stadi. Il Qatar entro la fatidica data dell’apertura della competizione, è chiamato a uno sforzo economico importante: decine di nuove infrastrutture devono essere portate a termine. Per farlo, sono migliaia i cittadini arrivati dall’estero per lavorare nei cantieri. Secondo il The Guardian, dal 2010 in poi nel Paese mediorientale sarebbero morti 6.500 operai. Il quotidiano inglese ha ricollegato gran parte degli incidenti mortali proprio ai cantieri inaugurati per i mondiali, tuttavia, ad oggi, non è possibile fare un collegamento simile. Secondo il quotidiano britannico, queste morti testimonierebbero le dure condizioni di lavoro e il mancato rispetto dei diritti. Gran parte dei lavoratori deceduti sarebbero provenienti da India, Nepal, Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka.

Doha: “Rispettati tutti gli standard”

Ma all’inchiesta del The Guardian ha risposto nei giorni successivi il governo qatariota: “La salute e il benessere di tutti in Qatar sono della massima importanza per il governo – si legge nella nota inviata da Doha – Ogni vita persa è una tragedia e nessuno sforzo viene risparmiato nel cercare di prevenire ogni morte nel nostro paese”. Con questo intervento il governo, pur confermando i numeri del quotidiano inglese, ha dato un’altra versione dei fatti. In particolare, dal 2011 al 2019 in Qatar sono emigrate soprattutto dai Paesi dell’area asiatica complessivamente 1.4 milioni di persone. Tra queste vanno annoverate anche studenti, anziani e lavoratori di diversi settori. All’interno di questo gruppo di persone, la cifra di coloro che sono morti è di 6.500. La stessa riportata dal The Guardian: “Sebbene ogni perdita di vite umane sia sconvolgente – ha continuato la nota del governo – il tasso di mortalità tra queste comunità rientra nell’intervallo previsto per le dimensioni e la demografia della popolazione”. Da Doha anche la rassicurazione circa l’attenzione dedicata alla salute di tutti i cittadini dell’emirato, compresi quelli stranieri.

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