A più di sessant’anni dalla nascita del Movimento dei Non Allineati (1961), la questione dell’allineamento oggi è tornata tragicamente di moda. Non solo perché, con 120 stati membri, il Movimento dei Non Allineati è uno dei più grandi forum internazionali al di fuori delle Nazioni Unite, ma soprattutto perché i tumulti geopolitici degli ultimi due anni costringono a fare questo tipo di riflessione attorno ad uno dei luoghi più caldi del mondo: il Medio Oriente. La risposta dei pesi massimi del mondo arabo come Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto alla guerra russo-ucraina ha, infatti, rivelato un approccio pragmatico e nuovo alla crisi europea.

I fattori responsabili del multi-allineamento

La Guerra Fredda aveva trasformato quest’ampio angolo di mondo nel teatro ove i due blocchi hanno combattuto fra loro numerose battaglie per procura: con il crollo del muro di Berlino, le due superpotenze sono andate via via consolidando qui la propria rete di sodali, soprattutto per assicurarsi la propria sicurezza energetica. Quella stessa rete, però, è finita per diventare vittima dei cambiamenti in corso nel resto del mondo: primo fra tutti, l’arrivo della Cina come influenza geoeconomica emergente, il fattore Russia-Turchia in scenari come quello siriano nonché l’Iran, che con le sue forze proxy tenta di destabilizzare l’area a suo vantaggio. Questi sconvolgimenti, che passano anche per il nodo jihadista, i riallineamenti nella NATO e, indubbiamente, anche il conflitto in Ucraina, hanno fatto saltare quella rete di sodali come la si immaginava un tempo.

Un esempio macroscopico: i rapporti Usa-Arabia Saudita

Gli Stati Uniti sono il primo Paese che ha fatto notare in maniera macroscopica questa rivoluzione copernicana. Lungi da Washington “abbandonare” il Medio Oriente come spesso strombazzato sui media, è indubbio che il mondo americano abbia allentato i suoi rapporti con l’Arabia Saudita, ad esempio.

A settembre, l’OPEC+ ha annunciato un taglio di due milioni di barili al giorno nella produzione di petrolio. Due mesi prima, la visita del presidente Joe Biden in Arabia Saudita, aveva evidenziato le incoerenze nella politica estera degli Stati Uniti e il suo impegno nella regione. Per gran parte dell’ultimo anno, l’amministrazione Biden ha lottato per trovare modi per abbassare il prezzo del petrolio in mezzo allo choc della guerra della Russia in Ucraina. Così, quando l’OPEC+, il gruppo degli stati esportatori di petrolio, ha deciso di tagliare la produzione di petrolio di due milioni di barili al giorno all’inizio di ottobre, la reazione di Washington è stata spietata. “È chiaro”, ha affermato il segretario stampa della Casa Bianca Karine Jean-Pierre, “che l’OPEC+ si sta allineando con la Russia”.

Un patto non scritto che lega gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita è sopravvissuto a 15 presidenti e sette re attraversando un embargo petrolifero arabo, due guerre del Golfo Persico e gli attacchi terroristici dell’11 settembre. Ora si sta fratturando sotto due leader che non si piacciono o non si fidano l’uno dell’altro.

Il pragmatismo cinese in Medio Oriente

L’Arabia Saudita e la Cina hanno mostrato legami più profondi con una serie di accordi strategici, tra cui uno con il gigante Huawei, la cui crescenti incursioni nella regione del Golfo hanno sollevato timori per la sicurezza degli Stati Uniti. Re Salman ha firmato un accordo di partenariato strategico globale con Xi, che ha ricevuto un sontuoso benvenuto in un Paese che sta forgiando nuove partnership globali oltre l’Occidente. Con gli Stati Uniti che inviano continuamente segnali di stizza e disincanto, sussurando della perdita di interesse nella regione, la Cina è emersa come un forte partner commerciale e di sicurezza per colmare il potenziale vuoto americano.

A marzo, il ministro di Stato per gli affari esteri dell’Arabia Saudita Adel Al Jubeir ha incontrato l’inviato speciale della Cina per gli affari mediorientali Zhai Jun a Riyadh, annunciando l’istituzione di un comitato congiunto di alto livello per rafforzare i trentadue anni di relazioni diplomatiche tra i due giganti del G20. Il regno è il secondo fornitore di petrolio della Cina, dopo la Russia, mentre la Cina è il principale partner commerciale ed esportatore nel mercato saudita, con un volume degli scambi stimato nel 2020 di oltre 30 miliardi di dollari.

Ciò che Washington non comprende

La delusione statunitense e occidentale nei confronti dei vecchi partner è tuttavia dimentica che quella pretesa di esclusività appartiene ad un tempo ormai finito, quello della Guerra Fredda, ma soprattutto guarda al Medio Oriente ancora come un attore autocratico ma tendenzialmente passivo, da foraggiare al fine di allinearlo dalla propria parte. Questa visione diventa ancora più vetusta quando si tenta ancora di interpretare l’attuale crisi con la Russia come una nuova Guerra Fredda: il conflitto in Ucraina, infatti, non lo è. Pertanto, l’ingresso in questa nuova era passa necessariamente dal guardare ai Paesi mediorientali come a nuove potenze geoeconomiche con interessi multilivello, soprattutto di natura economica. E per perseguire questa strategia nessuno è un alleato per sempre.

In questo complesso ritratto del Medio Oriente, Mosca e Pechino sembrano aver compreso meglio le nuove regole del sistema internazionale. Cina e Russia, infatti, trattano con clienti, non alleati. Gli Stati Uniti, nel frattempo, stanno attraversando un periodo di cambiamento nelle loro priorità internazionali, lasciando ai loro partner certezze molto labili. Di conseguenza, un numero crescente di partner statunitensi sta cercando di evitare del tutto di schierarsi e di mantenere i rapporti con tutte le grandi potenze contemporaneamente. Per gli Stati Uniti, ciò significa che è necessaria una strategia più sfumata: di fronte ad una nuova schiera di clients-not-allies, bisognerà perciò agire da partner non da patron.

Dal ridimensionamento Usa, conseguenza di questo rinnovato pragmatismo dei partner mediorientali, l’Europa può trovare spazi fino ad oggi inesistenti, legati principalmente alle questioni energetiche e di sicurezza. Ciononostante, man mano che l’Europa diventa sempre più intrecciata con il Medio Oriente, le sue vulnerabilità aumenteranno. Gli stati del Medio Oriente e del Nord Africa trattano ora da una posizione di forza, con nuove leve da usare contro le dirigenze europee.

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