Cosa fare per non lasciare campo libero a Putin in Europa e in Medio Oriente? Non sottostimare tutte le questioni geopolitiche e strategiche legate ai Paesi levantini. Dalla guerra in Siria, Mosca ha concentrato e portato avanti strategie belliche e politiche nella regione sotto gli occhi occidentali che hanno trascurato le relazioni venutesi a creare e che tuttora influenzano la guerra russo-ucraina.

Siria: dove tutto è cominciato

2011: iniziano le proteste in Siria e vengono represse nel sangue. Un anno più tardi, la Russia e l’Iran soccorrono il regime siriano di Bashar al Assad con linee di rifornimento militari in grado di attenuare il suo isolamento internazionale e frenare l’avanzata dei gruppi jihadisti. Con l’ingresso della Russia nella partita, il conflitto entra in una nuova fase nella quale Mosca gioca un ruolo importante, di grande stratega. È proprio Putin, nel 2013, ad aggiornare i propri piani di politica estera sottolineando l’urgenza di contrastare l’egemonia economica e politica degli stati occidentali che in quel momento stava drasticamente diminuendo.

Ed è nel conflitto siriano che i rapporti tra Mosca e Tehran diventano una vera e propria alleanza ne è prova lo sviluppo di droni da combattimento Shahed 136, fabbricati nei territori siriani controllati dal regime, adesso usati in Ucraina. Mentre l’Occidente lancia appelli per il cessate il fuoco, Iran e Russia si affiancano ad Assad in un’alleanza che intende portare ordine e stabilità alla regione allontanando i gruppi jihadisti come il Fronte al-Nusra e indebolendo il campo di azione occidentale non solo nel Paese ma nell’intero Mediterraneo orientale.

La morsa su Israele

La stretta alleanza tra Russia e Iran non lascia indifferente Israele. Benjamin Netanyahu scende a patti con Putin per contenere l’influenza dell’Iran in Siria vedendo in lui l’unico in grado di tenere a bada i pasdaran e tutti i gruppi affiliati e finanziati dall’Iran come Hezbollah e Hamas. Malgrado lo stretto rapporto di amicizia instaurato con Putin, Tel Aviv si è resa conto che quella tra Mosca e Teheran va ben oltre un’unione di comodo. Basti pensare che solo l’esercito russo può autorizzare i raid israeliani in Siria che sono fondamentali per contenere le mire iraniane stanziate lungo il confine settentrionale di Israele.

Tel Aviv è stata inoltre costretta a distruggere dei droni di progettazione israeliana, i Forpost – che derivano dal Searcher israeliano -, dati in licenza alla Russia dal 2010, ma che poi si sono rivelati utili in operazioni legate a Tehran. Con questa strategia Putin riesce a mantenere una pressione indiretta e continua su Israele. Questo sipiega almeno in parte cosa si cela dietro le reticenze di Tel Aviv nel fornire aiuti militari all’Ucraina, malgrado i ripetuti appelli di Volodymyr Zelensky che chiede da mesi a Israele i suoi efficaci sistemi di difesa missilistica come Iron Dome.

Il ruolo della Turchia

La presenza della Russia in Siria influenza largamente gli stessi aiuti della Turchia all’Ucraina, nonostante la consegna dei droni turchi Bayraktar, fabbricati proprio in suolo ucraino. La morsa russa stringe Ankara soprattutto sui migranti siriani. Infatti la minaccia di una poco probabile, ma sempre possibile, offensiva russa sulla zona di Idlib, resta alla porta. Offensive nel Nord Est della Siria provocherebbero centinaia di migliaia di profughi verso la Turchia che, sommati ai già milioni arrivati in questo decennio di guerra, andrebbero ad aggravare la crisi umanitaria in un momento delicato per il governo di Erdogan prossimo alle elezioni. Adesso Mosca non avrebbe le forze per condurre operazioni simili ma la minaccia resta presente.

Questo spiega il ruolo assunto da Erdogan in questi mesi di guerra: membro della Nato ma aperto a ogni colloquio con Putin. Il sultano avrebbe tutti i presupposti per schierarsi totalmente contro il Cremlino e dare pieno appoggio a Kiev. Le due parti sono in conflitto militare, e non, in diverse parti del mondo: in Libia sono i due maggiori attori che sostengono la guerra in campi contrapposti; in Nagorno Karabakh l’ombra delle due potenze incombe ad ogni rivendicazione tra Armenia (sostenuta da Mosca) e Azerbaigian (sostenuto da Ankara); la Crimea, occupata dalla Russia, rappresenta una grandissima minaccia per Erdogan, poiché presenza che non favorisce l’equilibrio di potenza nella regione del Mar Nero.

Oltre ai conflitti citati, i due Paesi hanno una sfera d’influenza molto importante in Africa. Ankara da anni cerca di penetrare sempre di più nel continente africano e ci è riuscita soprattutto in Somalia e in Sudan, estendendosi a molteplici settori della vita civile e militare. È in questi Paesi che gli armamenti turchi, come i droni Bayraktar, vengono importati e utilizzati nella lotta contro le milizie jihadiste e le aziende turche operano a stretto contatto con le istituzioni locali. Analogamente Mosca si è introdotta nella regione del Sahel dove, con il gruppo Wagner, sostiene governi locali e arriva dove l’Europa viene espulsa, come in Mali.

Conscio che l’esito delle partite giocate in questi punti strategici del globo avrà un impatto importante sulla ridefinizione degli equilibri geopolitici, Erdogan ha tutto l’interesse a mantenere una posizione di mediatore nella questione ucraina. Simbolo di questo ruolo è stato lo sblocco del grano fermo nei porti ucraini di Odessa, accordo tra Mosca e Kiev favorito da Erdogan che si è imposto pacificatore tra le due parti incassando una prima grande vittoria e definendo così la sua posizione al mondo intero.

In conclusione, è nel Medio Oriente che Putin continua a prendere risorse, da quelle militari a quelle politiche, con sostegni a volte apertamente dichiarati come l’Iran e con quelli più velati come Turchia e Israele. Sono queste risorse che andrebbero colpite per accelerare la fine della guerra in Ucraina. La questione Mediorientale non deve essere sottovalutata. Ciò che accade con Iran, Turchia e Israele è l’emblema dell’articolato intrigo che porta direttamente i suoi risultati sul campo di battaglia ucraino. Comprendere come Mosca abbia instaurato legami pragmatici che funzionano, malgrado i diversi interessi geopolitici, e che non lo isolano, potrebbe aiutare a frenare le sue azioni belligeranti in Ucraina ma anche la sua sfera di influenza in continua espansione.

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