L’esplosione della pandemia di Covid-19 ha accentuato lo scontro egemonico fra Stati Uniti e Cina, elevando la tensione fra le parti a livelli senza precedenti. Mentre l’Unione Europea gradualmente si adegua ai dettami provenienti da oltreoceano, riconfermando la compattezza del blocco occidentale, anche il partenariato russo-cinese si sta rapidamente consolidando e il merito è della miopia dell’asse Washington-Bruxelles e della lungimiranza di Pechino.
In prima linea per proteggere gli alleati russi
Negli ultimi quattro mesi si è accentuata una tendenza già in essere nel pre-pandemia, riguardante il partenariato russo-cinese e molto importante ai fini della divisione del potere fra i due e degli equilibri di potere nel mondo. La tendenza riguarda quel che rimane del mondo russo, sempre più ristretto e preda dell’espansionismo euroamericano e dell’assertività turca, e vede la Russia nel ruolo di garante della sicurezza e difensore diplomatico, con la Cina nel ruolo di creditore, investitore e donatore; un vero e proprio modus operandi basato sulla complementarità, in cui si utilizzano mezzi diversi per raggiungere gli stessi fini.
Si tratta di un mutuo soccorso che è stato messo alla prova dallo scoppio della pandemia e l’ha superata con successo. I due paesi hanno cooperato e agito in maniera concertata in numerosi teatri, i più importanti, fra i quali Serbia, Moldavia, Bosnia ed Erzegovina, Asia centrale, Armenia, Bielorussia, ma anche Venezuela e Mongolia.
La Serbia ha potuto contare su un appoggio multidimensionale e di vastissime dimensioni. La Russia, a inizio aprile, ha inviato una squadra di 87 medici militari e virologi, muniti di attrezzature per la disinfestazione degli spazi aperti e chiusi, che si sono occupati sia di aiutare i colleghi serbi nella lotta al Covid-19 che di disinfettare centinaia di migliaia di metri quadrati nelle città del paese. La Cina, invece, ha cominciato a spedire aiuti a fine marzo: medici volontari e beni igienico-sanitari, come mascherine e indumenti protettivi, e ha delegato al Beijing Genomics Institute la costruzione in tempi celeri di due laboratori diagnostici, a Belgrado e a Nis.
Anche nella vicina Bosnia ed Erzegovina l’asse russo-cinese ha mostrato unità di intenti, focalizzando gli sforzi nel fornire supporto alla repubblica federata serba, lasciando che Turchia e Occidente si occupassero della controparte bosgnacca. La Cina, comunque, ha inviato aiuti umanitari anche a Sarajevo ed è proprio qui che ha deciso di rompere una lunga tradizione, quella del distanziamento dagli spinosi affari balcanici, utilizzando un convoglio diplomatico per mandare un messaggio alla classe politica nazionale, invitata a superare la logica del conflitto e della divisione in favore della cooperazione e dell’unione. Non si può comprendere il significato del gesto senza considerare quanto sta accadendo nel paese, ossia il rinato antagonismo fra serbi e bosgnacchi, con i primi che sono tornati a parlare di secessione e gli ultimi che hanno recentemente bloccato una missione umanitaria russa al confine e destinata a Banja Luka, la capitale della federazione serba. Con quel messaggio, quindi, la Cina è entrata de facto nel conflitto serbo-bosniaco che, per esteso, è un conflitto fra Russia e Occidente.
Sempre nei Balcani, ma nell’estrema periferia orientale, ossia la Moldavia, Russia e Cina hanno guidato la battaglia degli aiuti, palesando una concertazione altrove meno manifesta. Il 20 aprile, a Pechino, è stato allestito un gigantesco carico umanitario composto da 40 tonnellate di beni medici, del cui trasporto a Chișinău si è occupata l’aviazione russa, in maniera totalmente gratuita. Soltanto due giorni prima, il governo moldavo aveva finalizzato un tavolo negoziale con il Cremlino per un prestito da 200 milioni di euro destinato a sostenere il bilancio e finanziare una serie di progetti infrastrutturali.
Come già accaduto altrove, come fatto da Nicolas Maduro e Aleksandr Vucic, anche il presidente moldavo Igor Dodon ha voluto inserire Russia e Cina nella stessa frase di ringraziamento, come se si trattasse di una sola entità. “Questa pandemia ha mostrato ‘chi è chi’, chi è un vero amico e sarà sempre dalla nostra parte nel bisogno […] Citerò Russia e Cina come esempio, perché sono stati i primi paesi a rispondere alla nostra richiesta”.
Gli errori occidentali, la sagacia cinese
Il Covid-19 ha intensificato lo scontro fra Stati Uniti e Cina e avrebbe potuto essere l’occasione ideale per tentare il colpo kissingeriano e provocare una frattura nell’asse russo-cinese che, nonostante l’apparenza di coesione e durezza, poggia su delle fondamenta fragili, caratterizzate da rivalità, sospetti reciproci, contenimenti preventivi, ambizioni egemoniche nelle stesse aree di interesse.
L’opportunità non è stata sfruttata e, anche se sicuramente ne verranno altre, replicare il successo della rottura sino-sovietica si rivelerà più arduo perché la pandemia ha avvicinato ulteriormente le due potenze. Inoltre, collaborazione a parte, è stato proprio l’asse Washington-Bruxelles a sembrare disinteressato a cogliere il momentum, guidando un’offensiva diretta a colpire Mosca e Pechino simultaneamente.
Mentre l’ultima sta assistendo ad una campagna di demonizzazione internazionale sempre più fitta, sullo sfondo di nuove rappresaglie commerciali, la prima è stata accusata di voler minare l’integrità della comunità europea e dello spazio euroatlantico attraverso la disinformazione e, inoltre, sta assistendo alla continuazione del proprio accerchiamento, palesato dal ritorno delle forze armate statunitensi nel mare di Barents per la prima volta dalla fine della guerra fredda, dal dinamismo turco in Asia centrale e dall’ultima battaglia dell’amministrazione Trump contro la diplomazia del nucleare del Cremlino.
L’unica potenza ad aver compreso e sfruttato pienamente l’opportunità, storica ed irripetibile, è stata la Cina, la cui politica di mutuo soccorso è stata fondamentale nell’evitare alla Russia di perdere ulteriore terreno nell’Europa orientale, in Asia ed in Venezuela, in favore del blocco occidentale e di altri rivali. Tornando alla Moldavia, la cui importanza geopolitica viene spesso e a torto trascurata, si pensi al semplice fatto che la Russia avrebbe dovuto fronteggiare in solitaria la pioggia di denaro dell’Unione Europea, la politica umanitaria dell’influente vicino rumeno e l’interventismo turco in Gagauzia; giocare un ruolo di primo piano sarebbe stato semplicemente impossibile e le implicazioni nel dopo-pandemia sarebbero state considerevoli.
Se la Russia, a crisi rientrata, potrà ancora rivestire un ruolo privilegiato all’interno dei propri bastioni eurasiatici, magari rafforzando il controllo su di essi, questo sarà anche e soprattutto per merito della Cina e al Cremlino se ne terrà conto. Non è una coincidenza, infatti, che la diplomazia russa sta già preparando i lavori per il primo viaggio di stato di Vladimir Putin all’estero del dopo-pandemia e sarà proprio Pechino la destinazione.