Questa settimana il presidente Usa Donald Trump ha nuovamente sollevato l’idea di abbandonare la Siria. Lo ha fatto in privato durante un incontro con il re Abdullah II di Giordania alla Casa Bianca, secondo due fonti diplomatiche citate dalla Cnn. Secondo l’emittente statunitense, Trump crede di poter arrivare a un accordo con il presidente russo Vladimir Putin nel corso del summit bilaterale che si terrà il 16 luglio a Helsinki. Idea non certo nuova: un mese prima di lanciare l’attacco missilistico contro la Siria, lo scorso 14 aprile, il presidente Usa dichiarò che gli Stati Uniti sarebbero “usciti dalla Siria molto presto”.

Tra le richieste di Trump, quella di costringere l’Iran ad abbandonare la Siria: Condicio sine qua non per l’eventuale e futuro ritiro degli Stati Uniti dalla regione siriana. Piano non facile da portare a termine poiché lo stesso Trump dovrà vedersela con il Pentagono e con l’opposizione interna dello Stato profondo, restio all’eventualità che i circa duemila soldati Usa abbandonino il Paese. 





L’ex consigliere di Reagan: “Ecco perché gli Usa devono lasciare la Siria”

Ad avvalorare l’ipotesi di un’uscita degli Stati Uniti dalla Siria è Doug Bandow, senior fellow presso il Cato Institute e già assistente speciale del presidente Ronald Reagan. “Ironia della sorte – osserva su The National Interest – il continuo impegno di Washington nella cacciata di Assad rafforza la sua dipendenza da Teheran e Mosca. Inoltre, né le vittime civili né i flussi di rifugiati cesseranno se Washington continuerà a promuovere tensioni e scontri”. Come osserva John Mueller, “gli Stati Uniti e gli altri stati dovrebbero lavorare principalmente per porre fine alla sofferenza dei siriani, e questo probabilmente significa tagliare il sostegno alla maggior parte dei ribelli combattenti in Siria”.

Purtroppo, sottolinea l’ex consigliere di Reagan, “i funzionari americani devono ancora dimostrare la loro capacità di sostituire l’autocrazia con la democrazia liberale e le ambizioni di Washington in Siria e altrove continuano a superare enormemente le reali capacità. In pratica, la politica degli Stati Uniti è stata straordinariamente imbarazzante. La ricerca americana di ribelli “moderati” era farsesca, costosa e inefficace. Gli Stati Uniti hanno finito col sostenere l’affiliata locale di al-Qaeda, che colpì l’America l’11 settembre. Solo nella lotta contro lo Stato islamico le amministrazioni di Obama e Trump hanno avuto successo, in gran parte facendo affidamento sui curdi, prima di svenderli”.

“Una superpotenza non deve mai chiedere scusa”

Bandow rincara la dose: “Se questa politica disastrosa fosse stata attuata da Paesi diversi come il Giappone e il Regno Unito – spiega – ci sarebbero state più dimissioni nel governo per la vergogna. Ma essere una superpotenza significa che non si deve mai dire chiedere scusa”.

Secondo il professore americano, Washington deve lasciare al più presto la Siria per rimediare agli errori commessi. “Il coinvolgimento iraniano e russo in Siria non rappresenta una minaccia per l’America. Piuttosto che estendere il loro potere, il loro intervento è un tentativo disperato di preservare l’influenza con un regime che è solo un’ombra del precedente. Washington dovrebbe abbandonare il suo folle tentativo di riprogettare il Medio Oriente e permettere ai Paesi di risolvere i propri problemi” afferma. 

Le truppe Usa in Siria

Come riporta Usa Today, al momento sono circa 2.000 i soldati americani stanziati in Siria che lavorano come supporto alle Forze di difesa curdo-siriane (Sdf) nella lotta contro l’Isis. La missione di sradicare lo Stato islamico in Siria sta “arrivando a una fine rapida”, ha confermato la segretaria stampa della Casa Bianca Sarah Huckabee Sanders lo scorso aprile. Il Pentagono stima che la coalizione guidata dagli Stati Uniti abbia recuperato più del 90% del territorio una volta controllato dallo Stato islamico.

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