Si è aperto oggi a Bruxelles il vertice della Nato e al centro della discussione tra gli Stati membri c’è la richiesta che sia raggiunto lo stanziamento del 2% del Pil per la Difesa. Richiesta che già era stata enunciata la prima volta durante il summit del Galles nel 2014 e ribadita nel 2016 durante quello di Varsavia.La tendenza, in seno all’Alleanza, è quella dell’aumento della spesa, come si può evincere dalle variazioni percentuali dei finanziamenti alla Difesa rispetto all’anno fiscale precedente. All’interno della Nato, infatti, solo sei Paesi su 28 che la compongono hanno mostrato un trend negativo: Albania, Belgio, Croazia, Portogallo, Usa e Italia, in varie percentuali hanno ridotto la propria spesa con Albania Belgio e Croazia in testa.
Il nostro Paese, in particolare, destina alla difesa l’1,15% del suo Pil pari a circa 20.968 milioni di euro. Ma il bilancio non va tutto in “carri armati e cacciabombardieri” come si potrebbe pensare: alla “funzione difesa”, ovvero quella parte che riguarda il procurement militare, l’esercizio del personale, il mantenimento dei mezzi delle tre forze armate spetta il 65% di questa spesa pari cioè allo 0,75 del Pil. Il resto è assegnato alla “difesa del territorio” ovvero all’Arma dei Carabinieri con altre due piccole fette per le “funzioni esterne” e per le “funzioni pensioni provvisorie personale in ausiliaria”.Dall’andamento delle spese dei Paesi della Nato, però, si evince anche un altro interessante particolare: il maggior incremento in percentuale è ad opera di, nell’ordine, Lituania, Lettonia e Romania che, con l’eccezione di Canada e Lussemburgo, sono accompagnate da tutto il blocco dei “Paesi dell’Est” dell’Alleanza: Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Polonia e Repubblica Slovacca. Le spese per la Difesa, in questo caso, rappresentano un ottimo termometro geopolitico per misurare la “febbre russa” che affligge gli ex Paesi del Patto di Varsavia, ovvero quei Paesi che più di ogni altro avvertono l’inquietudine di avere un grosso ed ingombrante vicino di casa che ha dimostrato, in occasione del putsch in Crimea, di non farsi scrupoli di sorta per riconquistare fette della sua sfera di influenza.In questo senso l’aumento della spesa Usa per le strutture Nato in Europa dell’Est recentemente svelato, deriva proprio dall’esigenza di tali Paesi di sentirsi tutelati da Washington, soprattutto dopo che il Presidente Trump ha più volte espresso l’idea che la Nato “faccia da sè” in qualche modo.Perché gli Usa chiedono più soldi alla Nato? La richiesta americana rientra perfettamente nella politica di Trump che potremmo definire di “responsabilizzazione” degli alleati. Questo non significa che gli Stati Uniti abbiano abdicato al loro ruolo di potenza egemone, anzi, ma si stanno adoperando affinché i loro alleati li affianchino nei loro “oneri militari” come partner più alla pari rispetto al passato. La decisione si inquadra perfettamente nella dottrina Trump “America First”, spesso fraintesa, che delega ad altri attori la risoluzione delle “beghe di cortile” in particolar modo riferendosi a quelle europee/mediterranee di cui dovranno occuparsi i Paesi della Nato; questo avverrà pur sempre mantenendo fermamente le redini a Washington, che tradotto significa “si fa sempre quello che vogliamo noi ma lo fate voi per la maggior parte”.Secondariamente la richiesta di aumentare le spese perla Difesa sino al 2% è anche un modo per cercare di vendere all’Europa gli armamenti di loro produzione e quindi dare ossigeno all’industria americana. La Casa Bianca, infatti, vede come fumo negli occhi la concorrenza europea per i sistemi d’arma – quella offerta dal supercaccia europeo è ormai fuori tempo massimo – e ha sempre avuto un atteggiamento più che protezionista verso le aziende europee che hanno vinto gare per la fornitura di sistemi e mezzi in Usa. Un’industria che volesse fornire un sistema all’Usaf, ad esempio, dovrebbe fondamentalmente creare una consociata in Usa con personale americano e cedere gli eventuali brevetti oltre ad altre limitazioni: praticamente di “europeo” rimarrebbe solo il nome. Al contrario Washington si è sempre lamentata per le limitazioni – molto meno incisive – alle quali le sue industrie devono sottostare in Europa, limitazioni che, pur fornendo tutele alle nostre imprese, non sono così limitanti come quelle americane.In questo senso anche la stessa ventilata creazione di un esercito europeo, nonostante tutte le difficoltà e incertezze che ne sono scaturite, preoccupa non poco Washington che lo vede come un tentativo dell’Ue di sganciarsi dalla Nato dove, lo ricordiamo, la presenza del suo migliore alleato, il Regno Unito, c’è ed è forte. Regno Unito che, infatti, si è sempre opposto alla nascita di un tale organismo ed ha anche offerto resistenza a diversi progetti congiunti europei, preferendo infatti affidarsi tout court a sistemi di oltre Atlantico quando non cercando in casa propria. Anche per questo Trump oggi non ha perso occasione di cercare di colpire la coesione dell’Ue attaccando la Germania e accusandola di essere “prigioniera della Russia” per quanto concerne la sua politica energetica. Non è un segreto infatti che Berlino si affidi a Mosca per le forniture di gas e che intenda aumentarle raddoppiando la pipeline che la collega via Baltico con la Russia: il progetto che si chiama Nord Stream 2. Progetto che trova forti oppositori anche all’interno dell’Ue e della stessa Nato: la Polonia infatti in più di una occasione ha accusato la Germania di minare la sicurezza dell’Europa Centrale.Insomma già dal primo giorno del vertice di Bruxelles risulta chiaro quale sarà il tenore dei colloqui. Spetterà ai Paesi dell’Ue che fanno parte della Nato dimostrare la loro coesione ed evitare che Washington abbia gioco facile nel soffiare sul fuoco delle piccole discordie interne per imporre ancora una volta il dominio dell’industria Usa sul vecchio continente, ora che con Pesco, finalmente, si vedono i primi veri soldi per la creazione di progetti europei.