A una settimana dalla conclusione della visita ad Ankara del neo presidente ucraino Volodymyr Zelensky è possibile delineare con più chiarezza quali sono i punti in comune con il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan. Tra i punti toccati dai due, la cooperazione economica, la sicurezza regionale, le minoranze religiose e, infine, l’annessione della Crimea.

Zelensky torna a Kiev con un grande risultato politico: Erdogan ha infatti dichiarato che l’annessione della Crimea è illegale e che monitorerà con attenzione il trattamento riservato dalle autorità russe alla comunità tatara residente nella penisola. Ma Erdoğan è il maestro dei doppiogiochisti e le sue parole potrebbero esser state più un gesto di cortesia che di reale appoggio diplomatico.

I risultati dell’incontro

Nel nuovo corso politico inaugurato da Erdogan non c’è spazio per alleanze, ma solo per partenariati temporanei e di comodo che siano funzionali ad ottenere, nel medio e lungo periodo, maggiori autonomia e potere. Il recente acquisto del sistema d’arma antiaereo russo S400 non è la prova di un presunto riposizionamento filorusso di Ankara, ma la manifestazione più lampante di questa strategia.

L’Ucraina gioca un ruolo di primo piano nella più ampia strategia geopolitica turca per la costruzione di un’area di influenza su Balcani e Mar nero e, adesso che il Paese sembra essersi incamminato definitivamente verso l’Occidente, è l’occasione per lanciare una diplomazia del corteggiamento.

Erdogan ha promesso appoggio diplomatico su una serie di questioni: libertà di navigazione nel mar Nero, liberazione dei cittadini ucraini arrestati dallo scoppio della guerra nel Donbass, annessione della Crimea e implementazione degli accordi di Minsk.

I due presidenti hanno quindi discusso la possibilità di dar vita ad un’area di libero scambio con la quale sfruttare l’alto potenziale del commercio bilaterale. Nel 2018 i due Paesi hanno commerciato beni per quattro miliardi di dollari, un’eventuale liberalizzazione potrebbe generare profitti per dieci miliardi.

Zelensky ha invitato la Turchia a partecipare alla ricostruzione del Donbass, ed è infine stato siglato un accordo di partenariato per l’intensificazione delle relazioni bilaterali, soprattutto in tema commerciale, infrastrutturale e industriale.

L’incontro è stato un successo soprattutto per la Turchia, che ha compiuto i primi passi per entrare nell’ex cortile di casa della Russia. Ciò che non deve sfuggire al Cremlino, però, è che la porta d’ingresso potrebbe essere proprio la Crimea.

Gli occhi turchi sulla Crimea

Erdogan ha definito una priorità della sua agenda estera la protezione dei tatari stanziati in Ucraina, definendo la Crimea la “loro storica madrepatria”. Questa è la dichiarazione che dovrebbe preoccupare maggiormente Mosca, perché i tatari compongono il 15% della popolazione della penisola e non hanno accolto il cambio di sovranità con lo stesso fervore degli abitanti russofoni.

Quando il matrimonio di convenienza fra Vladimir Putin ed Erdogan arriverà all’inevitabile fine, è possibile che quest’ultimo possa utilizzare i tatari come una quinta colonna con cui destabilizzare la penisola, supportato da Ucraina e Occidente. D’altronde, è già accaduto che il malcontento delle comunità islamiche di Russia sfociasse in moti secessionisti, guerre a bassa intensità, e terrorismo, come palesato dai casi della Cecenia, del Daghestan e dell’Inguscezia.

L’Ucraina non potrebbe che favorire un simile scenario e il fatto che Zelensky abbia partecipato all’inaugurazione di un ufficio di rappresentanza dei tatari di Crimea ad Ankara, durante la visita di Stato, è molto emblematico. Il presidente ha dichiarato che continuerà a seguire la situazione dei tatari, assicurando ai presenti che presto entrerà in vigore un regime di visti semplificato per consentire a chi è fuggito, o è stato allontanato, di ritornare nella penisola.





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