“Al termine di una riunione, nel corso della quale abbiamo discusso delle politiche da attivare nel ministero, ho accettato l’invito con onore”. L’offerta è arrivata da Jair Bolsonaro, a pochi giorni dalla sua elezione, e a ricevere l’incarico di titolare del superministero che unisce Giustizia e Sicurezza pubblica è Sergio Moro. Che in Brasile non è soltanto un giudice, con 22 anni di carriera alle spalle. Ma è il magistrato che ha condotto la maxi inchiesta anti-corruzione “Lava Jato”. E che, di fatto, ha portato dietro le sbarre l’ex presidente Luiz Inazio Lula da Silva.

Moro, che in Brasile è noto per aver scoperchiato il vaso di Pandora delle dinamiche corruttive che coinvolgono diversi politici, ha incontrato il neo presidente di estrema destra questa mattina, nella sua casa di Rio de Janeiro. Nonostante l’abbandono di un’attività lavorativa che ha sempre amato sia un piccolo sacrificio per lui, il giurista è sembrato entusiasta della scelta di Bolsonaro.  “La prospettiva di poter implementare una forte agenda anti-corruzione e contro la criminalità organizzata, nel rispetto della Costituzione, la legge e i diritti, mi ha portato a prendere questa decisione”, ha precisato il giudice.





Che cos’è l’Operazione “Lava Jato”

L’inchiesta che ha reso famoso il giudice, ancora in corso, è iniziata il 17 marzo del 2014, quando un’indagine sul riciclaggio di denaro si era allargata per coprire le accuse di corruzione alla compagnia petrolifera statale Petrobras, i cui dirigenti avrebbero accettato tangenti in cambio di aggiudicazioni di contratti a imprese edili a prezzi gonfiati. In quattro anni, l’operazione, considerata il più grande intervento anti-corruzione nella storia del Brasile, è servita a portare alla luce il sistema di tangenti all’interno dell’azienda petrolifera statale Petrobras, Uno scandalo che coinvolgeva un giro di denaro del valore di 10mila milioni di real brasiliani, pari a circa 2,4 miliardi di euro. Il nome, “Petrolão-Operation Car Wash”, deriva dall’indagine penale, condotta dalla polizia federale e giudizialmente guidata da Sérgio Moro. Iniziò quando si scoprì che il luogo in cui l’associazione criminale prelevava o scambiava denaro contante a scopi illeciti era l’agenzia finanziaria del Posto da Torre, a Brasilia. La verità emersa sulla rete criminale ha fatto emettere più di mille mandati di perquisizione e sequestro, detenzione temporanea, carcerazione preventiva e altre misure coercitive, con l’obiettivo di accertare la mole del riciclaggio di denaro, sospettato di spostare oltre 30 miliardi di reais. Oltre al Brasile, altri 11 Paesi, prevalentemente in America Latina, sono stati coinvolti nelle indagini. Petrobras, a seguito dell’inchiesta, ha ritardato la pubblicazione dei suoi risultati finanziari del 2014 e nell’aprile dell’anno dopo ha reso pubblici alcuni “audited financial statements”, secondo cui oltre due miliardi di dollari erano stati destinati in tangenti e un totale di quasi 17 miliardi di dollari era stato coinvolto in operazioni finanziarie di occultamento. L’azienda ha anche sospeso la distribuzione dei dividendi per il 2015. E per effetto dello scandalo e del crollo del prezzo del petrolio ha annunciato che avrebbe dismesso beni per 13,7 miliardi di dollari nel successivo biennio. 

Il terremoto politico dopo lo scandalo

L’indagine si è lentamente trasformata in uno scandalo. Forse il più imponente nella storia della politica brasiliana. Anche perché, tra gli inquisiti, comparivano i nomi di Lula e di Dilma Rousseff. Moro, apprezzato da una buona parte dell’opinione pubblica, è stato però anche accusato di essere particolarmente impietoso con la sinistra, specialmente con l’ex presidente. Che, attualmente, sta scontando 12 anni di carcere. A causa del suo coinvolgimento, infatti, i tribunali brasiliani hanno impedito, di fatto, al leader socialista di presentarsi alla competizione elettorale (e sono in molti a sostenere che se Lula avesse avuto la possibilità di ricandidarsi, forse, per Bolsonaro la vittoria non sarebbe stata così scontata). Oggi, Moro ha precisato che l’inchiesta anti-corruzione che lui coordinava proseguirà, da Curitiba, senza di lui. Per evitare “polemiche inutili” ha infatti deciso di escludersi dalle nuove udienze. 

La scelta di Moro

Secondo alcuni, la scelta di Bolsonaro di affidare la guida del superministero a Moro potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio e alimentare le speculazioni sul fatto che le sue maxi inchieste per corruzione sono state politicamente motivate e hanno preso di mira, in maniera sproporzionata, rappresentanti della sinistra. In particolare, appunto, Lula. E i suoi “figli” politici. 

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