La notizia era nell’aria da qualche giorno ma è stata confermata solo nella tarda giornata di ieri: il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha nominato Robert Malley inviato speciale per l’Iran.
La decisione di Biden di nominare Malley è stata riferita dal New York Times, citando due alti funzionari del Dipartimento di Stato, confermando precedenti rapporti. Successivamente un altro alto funzionario lo ha confermato all’Associated Press (Ap).
Il nuovo segretario di Stato Antony Blinken ha quindi scelto Malley come punto di riferimento dell’amministrazione Biden sull’Iran e, pertanto, sul suo programma nucleare.
Chi è Robert Malley? Il nuovo inviato speciale dell’amministrazione Biden è un avvocato, specializzato in politica internazionale e specialista nella risoluzione dei conflitti, che soprattutto è stato il principale negoziatore dell’accordo nucleare iraniano del 2015 noto come Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) voluto dall’amministrazione Obama e siglato insieme a Teheran, Berlino, Mosca, Pechino, Londra e Parigi. Attualmente è presidente e amministratore delegato dell’International Crisis Group, a Washington, un’organizzazione non governativa senza scopo di lucro, transnazionale, impegnata nella ricerca sul campo in materia di conflitti con la finalità di stabilire politiche atte a mitigarli, risolverli o prevenirli. Prima di ottenere questo ruolo, Malley ha prestato servizio presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale sempre sotto l’amministrazione Obama dal febbraio 2014 al gennaio 2017. Nel 2015 viene eletto dal presidente degli Stati Uniti come “uomo di punta” per le questioni in Medio Oriente, guidando l’ufficio mediorientale del Consiglio di Sicurezza Nazionale. A novembre dello stesso anno, Malley riceve anche la nomina di consigliere speciale per l’Isis. Risulta anche che sia stato uno dei numerosi alti funzionari coinvolti nei colloqui di pace di Camp David del 2000 tra Israele e Palestinesi.
Tornando alla notizia della sua nomina, il funzionario del Dipartimento di Stato che ha parlato con Ap ha detto che Malley sarebbe da oggi a capo di “un team dedicato” di “esperti dalla vista chiara con una diversità di opinioni”. Il funzionario ha aggiunto che l’esperto ha “un track record di successo nel negoziare vincoli sul programma nucleare iraniano” e che Blinken è fiducioso che “sarà in grado di farlo ancora una volta”.
Blinken, a cui Malley farà direttamente riferimento, è stato restio a spiegare in che modo verranno perseguiti i futuri impegni con l’Iran e si è rifiutato di discutere del personale facente parte della squadra che guiderà tale sforzo. Altri hanno notato che diversi funzionari dell’amministrazione di Biden precedentemente nominati – Wendy Sherman, la vice segretario di Stato e Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza Nazionale della presidenza – hanno svolto ruoli importanti nei negoziati di Obama con l’Iran.
Come Biden, Blinken ha ripetutamente affermato che gli Stati Uniti riprenderanno i loro obblighi ai sensi dell’accordo allentando le sanzioni se l’Iran tornasse per primo a a rispettare pienamente il trattato: solo a quel punto l’amministrazione tornerebbe in seno al Jcpoa così com’era o intraprenderebbe sforzi per prolungarne la validità e rafforzarlo.
Blinken è stato molto chiaro in merito, quando ha affermato che “se l’Iran tornasse in piena conformità con i suoi obblighi ai sensi (del trattato n.d.r.), gli Stati Uniti farebbero la stessa cosa e quindi lo useremmo come punto di partenza per costruire, con i nostri alleati e partner, quello che chiamiamo un più lungo e più forte accordo e per affrontare una serie di altre questioni che sono profondamente problematiche nelle relazioni con l’Iran, ma siamo molto lontani da quel momento”.
Il riferimento, nemmeno troppo oscuro per gli addetti ai lavori, è al programma missilistico iraniano, che preoccupa Washington così come Tel Aviv, e che è stato la causa principale della decisione unilaterale del ritiro statunitense dal Jcpoa voluto dall’amministrazione Trump.
Una decisione, quella dell’ex inquilino della Casa Bianca, che ottenne il plauso di Israele proprio per il timore dimostrato da Tel Aviv per gli sviluppi missilistici di Teheran, che punta molto su questa tipologia di armamenti per avere un’efficace capacità di deterrenza e uno strumento di dissuasione nel caso di possibili attacchi. Non è un segreto che l’Iran, oltre a migliorare i propri vettori, stia alacremente costruendo installazioni sotterranee che non solo fanno da deposito, ma anche da basi di lancio: una scelta obbligata fatta per mettere al sicuro il proprio arsenale.
L’agenda di politica estera del neopresidente procede speditamente quindi: dopo aver stabilito il programma per ridimensionare la Russia e aver deciso di prolungare il Trattato New Start sul disarmo nucleare, ora tocca alla questione iraniana, come ampiamente previsto stante le dichiarazioni effettuate in campagna elettorale che affermavano esplicitamente la volontà di Biden di rientrare in seno al Jcpoa.
Malley quindi rappresenta l’uomo ideale per questa finalità, avendo già dimostrato ampie doti sul campo proprio quando il Trattato venne siglato, e sicuramente il suo retroterra culturale, dato anche dall’avere genitori di origine egiziana ed ebraica, lo aiuta.
La nuova amministrazione, però, non troverà terreno fertile in questa scelta: in Israele c’è già chi si dice preoccupato per il nuovo corso politico statunitense verso l’Iran. Come riporta Times of Israel, nonostante l’amministrazione Biden si sia impegnata a consultarsi con Tel Aviv e gli altri alleati del Medio Oriente prima di prendere decisioni riguardanti Teheran, potrebbero facilmente esserci comunque attriti diplomatici con Washington, così come ce ne furono quando venne siglato il Jcpoa, ed i rapporti Usa-Israele raggiunsero, forse, i minimi storici.
Anche Emirati Arabi Uniti e Bahrein, neo firmatari degli Accordi di Abramo, stanno cercando di dissuadere l’amministrazione Biden dal tornare nell’accordo nucleare iraniano nella sua forma originale. Risulta poi che funzionari israeliani abbiano messo in guardia esplicitamente gli Stati Uniti dal non partecipare nuovamente al Trattato.
Il capo delle Idf (Israel Defense Forces), Aviv Kohavi, ha fatto lo scorso martedì una critica pubblica ai piani degli Stati Uniti e ha affermato di aver ordinato ai militari di sviluppare piani operativi per colpire il programma nucleare iraniano. Sembra però che successivamente il ministro della Difesa, Benny Gantz, lo abbia apertamente rimproverato per le sue dichiarazioni.
Israele però potrebbe non essere l’unico ostacolo per il ritorno degli Usa nel Jcpoa. Come abbiamo già avuto modo di analizzare, lo stesso Iran facilmente potrebbe avere, ora, una linea più dura non fidandosi degli americani dopo l’uscita unilaterale dal Trattato, ma soprattutto, qualora venisse posta la clausola riguardante il programma missilistico, deciderebbe senz’altro di non rientrarvi e di continuare l’arricchimento dell’uranio: Teheran, infatti, considera il suo arsenale “non negoziabile”.
Intanto, se da un lato arriva “la carota” Malley, dall’altro il “bastone” statunitense continua a vibrare colpi: le missioni transcontinentali dei bombardieri strategici B-52 verso il Golfo Persico non sono state sospese (l’ultima tra il 26 e il 27 gennaio) e vengono effettuate con cadenza quasi settimanale.