Si è concluso a Sochi, in Russia, il primo vertice tra il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu e l’omologo russo Sergej Lavrov. Il primo dopo mesi di gelo tra Russia e Turchia, seguiti all’abbattimento da parte di Ankara del su-24 russo impegnato nelle operazioni anti terrorismo al confine turco-siriano, in cui perse la vita il pilota Oleg Peskov. L’incontro è stato organizzato in seguito allo scambio di lettere dei giorni scorsi tra Erdogan e Putin, con le quali sono state poste le basi per una ripresa del dialogo, dopo l’incidente del novembre 2015.Al centro dell’incontro, c’è stato già un primo accordo sostanziale tra Russia e Turchia su “chi sono i terroristi da combattere in Siria”. Cavusoglu ha annunciato, inoltre, che Mosca e Ankara inizieranno a lavorare a stretto contatto per una soluzione politica del conflitto. “Ci sarà un coordinamento stretto tra Turchia e Russia su tutti i passi da intraprendere”, ha detto il ministro degli Esteri turco, anche nell’azione diretta “contro lo Stato islamico”. “Il miglioramento dei rapporti della Turchia con Russia e Israele avrà un impatto positivo sull’intera regione”, ha concluso Cavusoglu.Proprio la pace fatta dalla Turchia con la Russia e Israele, però, preoccuperebbe il sedicente Stato Islamico e potrebbe trasformare Ankara nel nuovo obiettivo privilegiato del terrorismo, esponendo il Paese ad una nuova ondata di attacchi. La fine dell’”isolamento” della Turchia nella regione, sottolinea infatti in un’intervista ad Aki Adnkronos l’esperto turco di jihadismo, Demir Murat Seyker, senior policy advisor presso la European Foundation for Democracy (Efd) di Bruxelles, è considerata come un “rischio” dall’Isis.Il “flirt” della Turchia con il sedicente Stato Islamico sembra quindi giunto al termine. Ma l’addio non sarà senza conseguenze. Se, infatti, la Turchia sin dall’inizio del conflitto in Siria ha tollerato, infatti, il flusso di combattenti e foreign fighter attraverso il proprio territorio nella speranza che l’Isis potesse dare il proprio contributo a rovesciare il presidente siriano Assad, già alla fine del 2015 Ankara ha dovuto fare i conti, complice l’intervento russo a sostegno del presidente siriano, con il naufragare dei propri piani. Il governo turco però ha continuato, afferma Seyker, a non considerare “l’Isis come una minaccia grave” o comunque come un problema di secondo piano rispetto ai curdi, contro i quali invece il governo turco ha lanciato una pesante offensiva. Una percezione che ha contribuito a determinare l’isolamento internazionale di Ankara, dovuto in gran parte anche alle politiche troppo accondiscendenti verso i gruppi radicali islamici.“Dal 2015”, sottolinea quindi l’esperto, “la Turchia ha iniziato a prendere misure serie contro l’Isis, sostenendo la coalizione, bombardando regolarmente e soprattutto, chiudendo e controllando i confini”. Proprio quest’ultima mossa è quella che secondo Seyker metterebbe a rischio più di tutto oggi la sicurezza turca. I jihadisti che continuano ad affluire in territorio turco per unirsi alle file dello Stato Islamico in Siria, infatti, rimarrebbero “intrappolati” per via del rafforzamento dei controlli di sicurezza al confine turco siriano, e rappresentano, per l’esperto, delle vere e proprie “mine vaganti”, pronte a colpire in qualsiasi momento.Anche se l’attentato di martedì sera ad Istanbul non sembra essere, con riferimento alla tempistica, legato direttamente alla ripresa del dialogo con Mosca, sottolinea l’analista, “l’accordo Turchia-Israele e l’avvicinamento alla Russia”, aumentando “il potere della Turchia nella regione” e un coinvolgimento “più attivo nella lotta all’Isis”, viene percepito come un “rischio” dall’Isis, che  potrebbe reagire incrementando gli attacchi nel Paese.La Turchia, secondo Seyker è già considerata uno “tra gli obiettivi principali dell’organizzazione”, che ha tra i propri sogni quello di trasformare “Istanbul nella capitale del Califfato”. Ma dopo il riposizionamento di Ankara nello scenario siriano, le bandiere nere sarebbero pronte ad ulteriori nuovi attacchi in territorio turco, dopo quello che ha provocato 44 vittime nello scalo Ataturk, che però non è stato ancora rivendicato.





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