Il termine del 12 maggio si avvicina progressivamente, e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump deve decidere alla svelta se ritirare il proprio Paese dallo storico accordo sul nucleare raggiunto con i vertici di Teheran, oppure se continuare a portare avanti il percorso di apertura dell’Iran nei confronti del resto del mondo, ed in particolare dell’Occidente.

I Paesi europei, tra cui la Francia di Emmanuel Macron e la Germania di Angela Merkel, sembrano essere persuasi della bontà dell’accordo, e la probabilità che le visite di Stato di entrambi, Macron il 24 aprile e la Merkel la settimana successiva, avranno come oggetto di colloquio proprio la permanenza di Washington nell’accordo

Le ragioni per cui Donald Trump dovrebbe optare per un “remain” resterebbero molteplici, e tutte con un peso specifico di notevole entità, anche sul fronte di altre strategie di politica estera intavolate dagli Stati Uniti: prima tra tutte, il fatto che l’Iran è risultato adempiente ai termini dell’accordo del 2015 in tutte e 11 le ispezioni fino ad ora condotte nel Paese da parte dell’AIEA, l’agenzia internazionale per l’uso pacifico dell’energia nucleare. 

Qualora Washington optasse per rinunciare all’accordo, si lascerebbe spazio al rilancio dell’opinione pubblica anti-americana, che vorrebbe riprendere le ricerche per l’uso bellico dell’energia atomica. L’effetto di demonizzazione risulterebbe riattivato anche per ciò che concerne l’aspetto economico in senso lato, con l’inasprimento delle sanzioni e una nuova ondata di una crisi economica che imperversa da anni nel Paese. 

Un altro aspetto importante risulterebbe poi dall’eventuale effetto domino su altri tavoli di negoziazione aperti: il trade-off su Teheran risponde all’ottenimento della denuclearizzazione di un Paese militarmente forte come l’Iran, in cambio del sollevamento delle sanzioni economiche. Sembrerebbero, ad occhio e croce, due ottime motivazioni da portare sul tavolo di Pyongyang, dove la minaccia per uno scontro aperto con il regime di Kim sembra anche più concreta e pericolosa. 

A rincarare la dose su quest’ultimo aspetto, inoltre, vi sono le dichiarazioni del ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, che in un’intervista alla radio del Servizio pubblico nazionale americano ha dichiarato che rinegoziando l’accordo nucleare del 2015 tra il suo Paese e le sei potenze mondiali si aprirà un “vaso di Pandora” che rischia di danneggiare la credibilità degli Stati Uniti nei futuri colloqui internazionali.

In un’intervista in onda martedì su Morning Edition, Zarif dice che spera che il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel, durante le loro rispettive visite negli Stati Uniti, “impressioneranno il presidente Trump” e la comunità internazionale “sarà molto meglio servita se dovessero rispettare i termini dell’accordo”.

Inoltre, anche Mosca e Pechino sollevano l’argomento nordcoreano nell’ottica dell’auspicio del rinnovo dell’accordo sul nucleare, formalmente riconosciuto come JCPOA. Russia e Cina stanno chiedendo agli Stati membri dell’Onu di sostenere una bozza di dichiarazione che esprima “un sostegno incrollabile” per l’accordo nucleare iraniano, ha dichiarato un diplomatico russo a Reuters, nel tentativo di fare pressioni sul presidente degli Stati Uniti Donald Trump di non ritirarsi da esso.

Il progetto di testo russo-cinese chiede agli Stati di “confermare il loro incrollabile sostegno per l’attuazione completa ed efficace” del JCPOA e di riconoscere il suo significativo contributo alla sicurezza internazionale.

Vladimir Yermakov, direttore generale del Dipartimento per la non proliferazione e il controllo degli armamenti della Russia, ha detto a Reuters che sperava di ottenere il sostegno di tutti i principali Stati alla fine della conferenza di due settimane, inclusi gli alleati di Washington in Europa che hanno espresso il loro sostegno al JCPOA. 

“La Russia è coerente nella sua posizione nel mantenere il cosiddetto accordo con l’Iran praticabile”, ha detto ai giornalisti il ​​portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, aggiungendo che “non c’è alternativa” all’accordo.