L’estinzione dell’Unione Sovietica, il terremoto geopolitico più importante del Novecento, ha significato tante cose per il mondo, tra le quali la (ri)nascita della Russia, l’occidentalizzazione dell’Europa centrorientale e l’arrivo dell’indipendenza per gli stati del grande Turkestan.
L’Asia centrale, il ventricolo del mackinderiano cuore del mondo, è una delle aree più geostrategiche dell’Eurasia. È un crocevia inaggirabile, dunque indispensabile, che collega i quattro punti cardinali del supercontinente attraverso una pluralità di rotte di trasporto multimodale e la cui rilevanza negli affari internazionali è prevedibilmente destinata ad aumentare negli anni a venire.
La proliferazione di macroprogetti continentali di interconnettività economico-infrastrutturale, come la Belt and Road Initiative, e di strutture di integrazione modellate sul formato Ue, come l’Unione Economica Eurasiatica e il Consiglio Turco, stanno contribuendo alla resurrezione geopolitica dell’Asia centrale. Principale manifestazione della sua rinnovata strategicità è l’afflusso in loco di potenze grandi e piccole, regionali e non, al quale l’Italia potrebbe unirsi in maniera più incisiva.
L’importanza dell’Asia centrale
È dall’antichità che i popoli europei e mediterranei sono indirettamente in contatto con l’Asia centrale, storico crocevia della Via della seta, punto di congiunzione tra le due estremità dell’Eurasia e calderone di civiltà in cui, da secoli, si incontrano-scontrano Cina, Europa, India, Persia, Russia e Turchia.
La geografia rende il grande Turkestan lo snodo dell’Eurasia. Per oltre un millennio è stato un punto di attraversamento fondamentale di quel complesso ed efficiente sistema di rotte commerciali noto come Via della seta. Ha arricchito i diari di viaggio di Marco Polo e Ibn Battuta. È stato al centro di guerre e tornei di ombre tra le grandi potenze che sognavano quando l’egemonia sulla regione e quando uno sbocco sull’oceano Indiano.
- Cosa significherà il Grande Gioco 2.0 per l’Asia centrale?
- Dal Grande Gioco al Grande Gioco 2.0
- Il futuro del mondo passa dall’Asia
Nulla è cambiato dall’antichità a oggi, anche perché la geografia è immutabile, sicché l’Asia centrale continua a essere la grande stazione di rifornimento per le carovane in transito da o verso l’Europa e la superstrada dell’Eurasia che permette di accorciare sensibilmente i tempi di trasporto dei beni rispetto alle rotte marittime che collegano i porti della Cina continentale con l’Europa via Indiano, Rosso e Mediterraneo.
Possedere dei partner strategici in Asia centrale equivale ad avere una voce in capitolo lungo alcune delle più importanti rotte commerciali eurasiatiche – che in larga parte traversano il Kazakistan –, ad avere accesso a significative riserve di risorse naturali strategiche – 31,5 miliardi di barili di petrolio, 825 trilioni di piedi cubi di gas, 1,2 milioni di tonnellate di uranio – e, in generale, ad avere un posto a sedere in una delle tavole in cui si decidono i destini del continente.
Un Mediterraneo allargato nel cuore dell’Asia
L’Italia ha il capitale culturale, economico e umano per operare nell’Asia centrale postsovietica nel ruolo di protagonista: ha legami solidi e datati con Azerbaigian e Turchia, è ereditiera di una diplomazia di pontierismo intercivilizzazionale e interblocco, ha dei campioni nazionali che agiscono nei settori-chiave del mercato turkestano, gode di una rendita di posizione promanante dalla special relationship col Vaticano – il cui peso nella regione è emblematizzato dal Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali – e ha una rete diplomatica in loco di prim’ordine.
Posizione geostrategica e ricchezze naturali fanno del Turkestan un secondo Mediterraneo in potenza per l’Italia, ovvero un gran bazar utile a reperire (e a vendere) ogni genere di bene, un’agorà in cui fare networking e un trampolino di lancio multidirezionale. Come il Mare nostrum ha storicamente aiutato l’Italia a proiettare influenza su Africa subsahariana, golfo Persico e Mezzaluna fertile, così l’Asia centrale è un riflettore le cui luci puntano su Cina, Persia, Russia e Valle dell’Indo. Posizionarsi nella regione, in sintesi, equivale ad affacciarsi su un mercato di 3,2 miliardi di consumatori.
Diplomazia, imprenditoria e regioni, nella consapevolezza della strategicità dell’Asia centrale, hanno proceduto a ritagliare degli piccoli ma importanti spazi di manovra per l’Italia durante la decada perdida iniziata con la morte di Mu’ammar Gheddafi. Cooperazione allo sviluppo, cultura, energia e trasferimento di conoscenza sono stati i loro principali strumenti, che hanno permesso una straordinaria diffusione del Made in Italy nella regione pur in assenza di agende e/o di direttive specifiche da Palazzo Chigi.
- Asia centrale, una terra di opportunità (anche per l’Italia)
- L’Italia deve rispondere al richiamo di Samarcanda
La classe politica nostrana ha iniziato ad accorgersi del lavoro (egregio) compiuto da diplomatici, imprenditori e regioni nel 2019, anno dell’organizzazione della Conferenza Italia-Asia centrale – primo evento del genere nell’intera Unione Europea –, e da allora sono aumentate le iniziative rivolte alla stessa direzione, dai forum affaristici ai festival binazionali.
L’espansione dell’impronta italiana in Asia centrale, che è particolarmente estesa tra Kazakistan e Uzbekistan, può essere compresa meglio elencando alcuni numeri e fatti, spesso, ignorati:
- L’Italia è il secondo partner commerciale del Kazakistan e nel 2022 è stata anche la principale destinazione delle sue merci all’estero – il 16,4% dell’export kazako è finito sul mercato italiano;
- L’Italia è l’unico paese Ue ad avere un formato dialogo 5+1 con gli -stan;
- L’Italia detiene il record europeo di accordi di partenariato strategico con gli -stan: due (uno col Kazakistan, siglato nel 2008, e uno con l’Uzbekistan, stretto nel 2023);
- L’Eni è l’unico gigante energetico occidentale a operare in Turkmenistan, il più isolato degli -stan, nel quale è presente dal 2008;
- Il 9% della produzione di petrolio dell’Eni proviene da impianti e giacimenti localizzati in Kazakistan;
Sullo sfondo della proliferazione di iniziative di cooperazione, l’industria del pallone ha iniziato a interessarsi al giovane mercato centrasiatico e il dialogo con gli -stan ha ricevuto impulso dall’attivismo di ambasciate, camere di commercio, città e regioni, dalla Sicilia impegnata a esportare prodotti agroalimentari in Kazakistan agli investimenti di Firenze nel dialogo con l’Uzbekistan, che sono sfociati nell’apertura di un consolato onorario uzbeko nel capoluogo toscano.
I risultati conseguiti dalla diplomazia parallela di grandi imprese, camere commerciali, think tank, città e regioni sono un assaggio di quello che potrebbe essere ottenuto se l’Italia formulasse una strategia di lungo termine per l’Asia centrale: un Piano (Marco) Polo. Piano che piazzerebbe il nostro Paese in uno dei perni della globalizzazione, investendolo di rinnovata importanza agli occhi dell’Ue, che sull’Italia conta per approfondire la propria orma nella regione, e degli Stati Uniti, che sono alla ricerca di faccendieri ai quali delegare porzioni della loro agenda globale.
- Il futuro dell’Italia passa (anche) dall’Uzbekistan
- Tutti i motivi per cui l’Italia dovrebbe entrare nel Consiglio Turco
Una strategia per l’Asia centrale è necessaria in quanto servirebbe a istituzionalizzare il dialogo con gli -stan, darebbe l’impulso necessario alla diversificazione dell’import-export e fungerebbe da aggregatore di idee per potenziali iniziative.
Le basi per un’espansione ulteriore dell’Italia nella regione sono presenti: l’interesse dell’industria del pallone tricolore per i talenti centrasiatici potrebbe assumere la forma di una “diplomazia del calcio”, Cinecittà è un proiettore naturale di potere morbido, eccellenze nostrane operano in una vasta gamma di settori di potenziale interesse per gli -stan, come agricoltura sostenibile, energia pulita, infrastrutture e trasporti, le sfide alla sicurezza sono un’opportunità per stringere accordi militari e securitari, il clima è favorevole per un’adesione al Consiglio Turco.
L’Italia è chiamata a capitalizzare quanto costruito dalla diplomazia parallela, perché la centralità del Turkestan è destinata a crescere nei decenni a venire, tra esplosione demografica e mutamenti geoeconomici, e sedersi in tempo a questo tavolo potrebbe avere ripercussioni enormi per l’Interesse nazionale.
La storia è un treno che non passa due volte e il momento di salire a bordo del Turkestan Express è adesso. Non cogliere quest’occasione significherebbe regalarla ad aminemici come Francia, Germania o Turchia e perdere l’irripetibile opportunità di trasmigrare dal Mediterraneo storico al “nuovo Mediterraneo” che si va aprendo tra le steppe di Turan e la Valle dell’Indo.