“E mentre gli altri conquistavano grandi imperi, noi ci accaparravamo quello che Gaetano Salvemini definì uno ‘scatolone di sabbia’, peraltro incontrollabile a causa delle divisioni tribali”. Qualche professore racconta ancora questa fòla ai suoi studenti. Si tratta di una chiave di lettura superficiale del colonialismo italiano, foriera di due imperdonabili errori: il primo che la campagna di Libia del 1911, sia stata un atto di ripiego del Governo Giolitti sull’unico territorio nordafricano ancora non occupato da francesi e inglesi; il secondo che, ieri come oggi, quello libico sia un territorio preda di tribù locali, refrattarie a qualsiasi forma di autorità.Un’interpretazione un po’ sempliciotta di oltre duemila anni di Storia, che cercheremo di ripercorrere insieme…Il termine “Libia” è usato per la prima volta nella riforma tetrarchica dell’impero romano (III Secolo d.C.) voluta da Diocleziano. Infatti, Lybia superior e Lybia inferior indicano la suddivisione amministrativa della provincia orientale della Cirenaica. I domini occidentali, invece, fanno parte della Tripolitania, provincia che Diocleziano rafforza militarmente al fine di tutelare i traffici fra l’oasi di Ghadames (550 km a sud di Tripoli, sul confine con l’area del Fezzan abitata dai berberi) e i grandi centri commerciali della costa, Oea, Sebratha e Leptis Magna.La caduta dell’impero, nel 476, rompe gli equilibri faticosamente realizzati da Diocleziano e dai suoi predecessori. Infatti, i nuovi conquistatori Vandali, Bizantini e Arabi, per rafforzare il proprio dominio, sono costretti a combattere per secoli contro le tribù berbere. Solo con gli ottomani che si torna ad una piena stabilità sia della costa sia dell’entroterra libici. Infatti, dal 1551, le coste del paese sono sotto il controllo del bey, governatore corsaro al servizio del Sultano; a sud, nell’area sub sahariana, la dinastia araba degli Awladi ( dal XV al XIX Secolo regnante sul Fezzan) è tributaria dell’impero. Il potere ottomano si rafforza fra il 1813 e il 1835, quando i turchi conquistano i regni tributari e impongono un controllo diretto sul dominio nordafricano che dura sino alla Guerra italo-turca.Alla vigilia del 1911, dunque, la Libia è un paese tutt’altro che diviso e selvaggio malgrado, è giusto ricordarlo, che l’indebolimento sullo scacchiere internazionale dell’impero ottomano e le campagne contro i ribelli senussi facilitino la conquista italiana.Italiani che, dal canto loro, si erano “accorti” della Libia da diversi decenni. Infatti, già il Regno di Sardegna, nel 1825, aveva organizzato una spedizione contro Tripoli, per distruggere la flotta del bey locale.Con la pace di Ouchy del 1912, il Regno d’Italia riceve dai turchi Tripolitania e Cirenaica. Ma finita una guerra, ne inizia subito un’ altra. Insieme alle terre, infatti, Roma eredita dagli ottomani i problemi con i senussi, che riesce a risolvere dopo vent’anni di aspri combattimenti nel Fezzan.Se al generale Rodolfo Graziani si deve la riconquista militare del Fezzan, è al governatore Italo Balbo che va il merito del processo di ammodernamento della colonia, sia infrastrutturale (realizzazione di ospedali, scuol e vie di comunicazione) sia sociale. Nel 1937, ad esempio, propone l’estensione della cittadinanza italiana ai libici conscio, forse, che la garanzia di diritti e di benessere sia la chiave per mantenere l’equilibrio fra coloni e locali.Dunque, al contrario di quanto si creda (o si voglia fra credere) la Libia ha conosciuto lunghi periodi di stabilità politica e, probabilmente, riuscirà a superare anche l’attuale momento di caos e di guerra interna. L’Italia può e deve dare il suo contributo: condividiamo con il nostro “vicino” venti secoli di cultura e di relazioni commerciali e politiche. Va da sé, quindi, che solo l’attenta analisi della Storia sia la chiave per interpretare necessità, presenti e future, dei popoli del Mediterraneo meridionale.
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