“3-5-2”: lo schema d’attacco con cui la Cina di Xi Jinping risponde all’offensiva tecnologica Usa ha all’apparenza un chiaro sapore calcistico. In realtà si tratta di molto di più: dell’inizio di un vero e proprio attacco a tenaglia contro la presenza di tecnologia statunitense negli apparati, nelle istituzioni e nel sistema produttivo nazionale.

Washington ha attaccato bandendo Huawei e Zte dalla possibilità di fare affari con le agenzie federali, tagliando di fatto fuori dal Paese le grandi industrie tecnologiche cinesi e costringendo Huawei a riparare in Canada. La Cina non resta certamente sulla difensiva e contrattacca metodicamente: tutta la tecnologia statunitense presente nei sistemi critici del Paese dovrà essere dismessa entro tre anni. E qua entra in gioco il citato schema “3-5-2”. “ Il 30 per cento di hardware e software non nazionale deve sparire entro il primo anno, un ulteriore 50 nei dodici mesi successivi e il restante 20 per cento nell’ultimo periodo a disposizione”, fa notare StartMag, rivelando la portata dell’azione in corso che sarebbe stata decisa dalla leadership di Pechino a inizio 2019.

A rivelare l’esistenza di questo programma è stato il Financial Times che, consultando analisti e esperti del settore, è arrivato a concludere che la mossa possa essere funzionale a un triplice scopo: colmare col mercato interno eventuali vuoti nel giro d’affari del big tech cinese legato alle mosse americane, ridurre l’interdipendenza tra le componentistiche dei due sistemi e adottare una strategia “imperiale” verso il settore privato nazionale, imponendogli di recepire le direttive politiche interne. “Non è la semplice replica allo stop a Zte, Huawei, Megvii, Sugon e ad altre realtà produttive meno conosciute ma non per questo esenti dal pesante sospetto di eccessiva vicinanza al Governo di Pechino e ai relativi obiettivi politici, militari e di business intelligence. Ci si trova dinanzi ad uno scontro frontale che è destinato a mutare ogni scenario finora pronosticato”.

La mossa dell’Impero di Mezzo rischia di impattare enormemente sugli affari del big tech a stelle e strisce. Gli analisti di Jefferies hanno stimato in 150 miliardi di dollari il giro d’affari delle compagnie americane in Cina potenzialmente messo a repentaglio da una manovra che porterà Pechino a dover sostituire tra i 20 e i 30 milioni di dispositivi. Le aziende più colpite? Hp, Dell, Microsoft, Ibm senz’altro pagheranno duramente dazio.

Pechino punta a conseguire una leadership all’americana sul suo sistema tecnologico interno. Cooptandolo al servizio della grand strategy, del progetto nazionale: la conquista dell’egemonia tecnologica nel XXI secolo attraverso la promozione del sistema interno e la sua proiezione nel campo delle applicazioni industriali, della costruzione infrastrutturale e, comparto fondamentale, della gestione securitaria e di intelligence. Con Pechino in netto vantaggio su intelligenza artificiale e 5G e competitiva negli altri ambiti, tra cui quello del calcolo quantistico. Ora la Cina di Xi Jinping fa un passo avanti e alza la sua barriera verso il rivale di oltre Pacifico. Il braccio di ferro è sempre più duro e coriaceo: e di fronte a questa infinita partita a scacchi c’è da chiedersi fino a dove potrà spingersi la separazione tra il settore tecnologico cinese e quello Usa.

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