L’elezione del presidente del Comitato Nazionale Repubblicano non ha mai attirato molto l’attenzione dell’opinione pubblica, essendo principalmente una carica burocratica che sovrintende all’organizzazione interna del Gop. Anzi, normalmente questa elezione non attira anche perché spesso si sa già come andrà a finire, essendoci di fatto un solo candidato.

Nel 2011 ci fu una parziale eccezione a causa della frattura causata dal movimento del Tea Party: Reince Priebus, eletto su una piattaforma anti-tasse e anti-obamiana, contro il moderato Michael Steele, in carica nel primo biennio presidenziale di Barack Obama. La persona venuta dopo di lui, Ronna McDaniel, è stata invece eletta quasi all’unanimità dopo il trionfo di Donald Trump nel 2016, che portò i repubblicani a controllare presidenza e Congresso per la prima volta dopo dieci anni.

Stavolta non è andata così: difficile nascondere che i risultati delle midterm non siano andati come sperato: la striminzita maggioranza alla Camera di 222 deputati su 435 e la fallita conquista del Senato, dove i dem hanno incredibilmente guadagnato un seggio. In una situazione normale, si parlerebbe di sostituire McDaniel, in carica ormai da sei anni, senza troppi patemi. L’attuale Gop però, è tutt’altro che unito.

Il nodo trumpiano

L’oggetto di divisione, nemmeno a dirlo, è la figura di Donald Trump. Però non divide nel modo che ci si aspetta, ovverosia trasversalmente, tra sostenitori e detrattori, ma semplicemente tra chi lo gestirebbe meglio. In effetti una metamorfosi antitrumpiana di McDaniel, che lo ha servito fedelmente durante il suo quadriennio presidenziale, sarebbe poco credibile. Anche se, attualmente, McDaniel parla di superare questa fase e di continuare col lavoro, additando la responsabilità della sconfitta alle debolezze di alcuni candidati scelti dall’ex Presidente.

C’è il medico televisivo di origine turca Mehmet Oz in Pennsylvania, l’ex giocatore di football Herschel Walker in Georgia oppure l’ex conduttrice televisiva Kari Lake in Pennsylvania. Selezionati non per le loro qualità o il loro impeccabile curriculum conservatore, ma per la loro fedeltà ai desideri del Capo, quali che fossero in quel momento.

Ronna McDaniel, chair del Republican National Committee. Foto: Agenzia Fotogramma/Tom Williams/CQ Roll Call/Sipa USA.

A incarnare questa tendenza sembrava ci fosse Harmeet Dhillon, avvocata di origini indiane, californiana, nota per aver compilato numerosi ricorsi contro le ordinanze di chiusura nella primavera del 2020, contro gli obblighi di mascherina e per essersi opposta anche all’implementazione del voto postale, uno dei fattori che secondo Donald Trump hanno contribuito maggiormente alla sua sconfitta nel 2020.

Sembrava che gli ex trumpiani, insieme al vecchio establishment incarnato dal senatore Mitch McConnell, fossero compattamente dalla parte di McDaniel, per uno stanco rinnovo del suo mandato che cela però una forte mancanza di idee sul futuro.

La mossa di DeSantis

Poi è piombato l’endorsement del governatore della Florida Ron DeSantis su Dhillon con la motivazione evidente: dopo tre cicli elettorali non positivi, è tempo di cambiare. Stranamente, in questa lotta, sia Trump che McConnell hanno deciso di stare ufficialmente fuori dalla contesa, anche se Trump ha dichiarato di “apprezzare molto” Dhillon. Sembrava tutto molto incerto per i tre delegati inviati da ogni Stato o territorio americano, che comprendono anche la Capitale e il territorio di possedimenti come le isole Samoa Americane.

Invece, dopo l’uscita di DeSantis, fatta durante un’intervista condotta dall’ex leader studentesco Charlie Kirk, già sostenitore accanito del trumpismo, sembrava che i 110 delegati potessero mettere in discussione il sostegno dichiarato alla vigilia, anche considerando la forte ascesa di DeSantis nei sondaggi che lo accredita come il principale sfidante di Donald Trump alle primarie del 2024.

Il presidente del partito repubblicano in Texas, Matt Rinaldi, ha dichiarato il suo sostegno a Dhillon, facendo pesare il fatto che due stati popolosi come Texas e Florida sostengono un cambiamento al vertice repubblicano. Che tipo di cambiamento però? Dhillon nelle ultime ore ha fatto sapere ai delegati che si riuniranno in un hotel nella Contea di Orange in California che lei saprà resistere alle pressioni di Donald Trump su eventuali candidati scadenti, molto più di quanto ha fatto McDaniel, che di fatto ha sempre approvato le scelte dell’ex presidente.

A sparigliare gli schemi c’è anche la candidatura di bandiera di Mike Lindell, imprenditore che produce cuscini sotto il marchio MyPillow, che sin dal dicembre 2020 è uno dei più esagitati sostenitori della bufala delle “elezioni rubate” e questo ha portato maggiore confusione al meeting di venerdì. Alla fine, a capo della struttura di un partito ormai sempre più senza idee che non siano un’opposizione dura ai provvedimenti dei democratici, è stata riconfermata Ronna McDaniel con 111 voti, contro i 51 ricevuti da Dhillon e i quattro di Lindell. McDaniel però ora dovrà cimentarsi con la questione principale che attanaglia i repubblicani ormai da quasi tre anni: come recuperare i moderati che alle ultime presidenziali hanno votato per Joe Biden stufi degli eccessi del trumpismo.