Il 2022 verrà osservato e studiato dalla posterità come un anno denso di eventi: dalla guerra in Ucraina, con la quale la Russia ha esplicitato all’Occidente che alcuni punti della sua politica estera non sono negoziabili, all’aggravamento della crisi economica globale innescata dalla pandemia di Covid-19 che ha messo in risalto le debolezze delle tradizionali catene del valore e la necessità di una loro riforma radicale.
Ucraina, una grande guerra clausewitziana in Europa che ha assestato un duro colpo alle catene del valore globali già in affanno e che ha accelerato tendenze ed esacerbato tensioni pre-esistenti, dall’energia all’alimentazione. La crisi ha colpito tutti, indistintamente, ma alcuni più di altri: gli importatori, i dipendenti dagli investimenti diretti dall’estero, i privi di sovranità monetaria, gli impossibilitati ad attuare politiche fiscali consone alla situazione, i belligeranti informali nel conflitto ucraino. Spiegare questo significa capire le origini e la ragioni dei problemi del sistema Europa, dove alcuni Paesi stanno registrando i più alti livelli di inflazione dell’ultimo quarantennio.
I membri dell’Unione europea non sono gli unici alle prese con inflazione e scarsità di beni, trattandosi di problematiche sentite dalla Turchia all’Argentina, ma una particolarità li rende più esposti allo tsunami economico: il loro coinvolgimento nella guerra in Ucraina, dove, tra invio di armamenti e applicazione di sanzioni alla Russia, sono de facto una parte attiva del conflitto. Coinvolgimento che ha motivato il Cremlino a rispondere asimmetricamente, colpendo i talloni d’Achille di un’Europa che, per quanto esausta, non sembra intenzionata al dietrofront.
Gli economisti sono divisi sull’efficacia del regime sanzionatorio multisettoriale contro la Federazione russa: funziona, funzionicchia, funzionerà a posteriori, non funzionerà mai. Visioni discordanti a livello di sostanza, che aggiungono ulteriore confusione e alimentano dibattiti controproducenti. Quello che si sa, per ora, è che il non invidiabile di status di paese più sanzionato della storia – quasi dodicimila sanzioni da parte di poco più di quaranta pesi (agosto 2022) – non ha fermato né rallentato la macchina bellica di Mosca.
Vero è che l’efficacia di un regime sanzionatorio non si misura soltanto nel breve termine, perché alcune sanzioni sono concepite per inibire la crescita di sfere specifiche nel medio e lungo periodo, ma lo è altrettanto che la sfavorevole congiuntura internazionale nel quale si ritrova l’Unione europea sta producendo, al momento, molti più danni al sanzionatore che al sanzionato. Ed è lecito chiedersi, alla luce del crescendo di crisi governative e del montante malcontento sociale, se e quanto sia sostenibile l’effetto boomerang e se e quanto sia percorribile la via delle sanzioni contro la Russia.
Nel tentativo di capire quali e quante siano le probabilità di successo dell’attuale regime sanzionatorio, e per avere una visione globale del conflitto, abbiamo contattato e intervistato Edward Luttwak, noto politologo con alle spalle più di venti libri e consulenze strategiche per l’amministrazione Reagan.
In suo tweet, alcuni giorni fa, ha consigliato all’Unione europea un cambio di rotta in merito al fascicolo ucraino: meno sanzioni (alla Russia), più armi (all’Ucraina). Perché?
Ho consigliato all’Europa la desistenza per il semplice fatto che lo sforzo bellico russo non dipende affatto dal commercio estero e dalle esportazioni nel resto del mondo. La Russia è autonoma da questo punto di vista. Queste sanzioni metterebbero in serie difficoltà un Paese come la Cina, non permettendole più di avere carne da mangiare – perché i loro allevamenti reggono sull’importazione annuale di circa 150 milioni di tonnellate di soia -, ma non i russi, che sono autarchici nel cibo e nell’energia. Perciò le sanzioni non li fermano e non stanno avendo nessun effetto, se non sulla ricca russa che vorrebbe vestire Louis Vuitton.
E sull’Unione europea, a parte l’alimentazione dell’inflazione, quali effetti stanno avendo?
Queste sanzioni stanno avendo l’effetto di ridurre la coesione dell’Alleanza occidentale, che è già fragile, perché i tre Paesi più popolosi dell’Unione europea – Germania, Francia e Italia –, e anche la Spagna, sono già adesso riluttanti a fare qualsiasi cosa. Penso al ministro della difesa italiano, Lorenzo Guerini, alle grandi difficoltà che ha sperimentato per mandare qualche armamento all’Ucraina, che comunque non si trattava di nulla di spettacolare, per via della compagine politica del governo. In sintesi: le sanzioni non hanno impatto sulla Russia, mentre le sue contro sanzioni hanno un forte impatto sull’Europa.
Cosa ne pensa del dibattito sull’estensione del regime sanzionatorio all’intera cittadinanza russa, ossia la stretta sul rilascio dei visti turistici di cui si sta discutendo in questi giorni?
Il turismo non va fermato. O la narrativa diventerebbe questa: che l’Europa è contro i russi, quando non è così. Non è Putin che vuole fare le vacanze a Rimini, ma la sua gente.
Come si viene a capo da questa situazione?
Vanno raddoppiati gli aiuti militari all’Ucraina, dei quali va anche aumentata la qualità. Perché penso a questi episodi: ai tedeschi che hanno inviato sette semoventi, ai francesi che ne hanno inviati tre e soltanto per poter dire ai loro futuri acquirenti che sono stati provati in combattimento. Questi sono dei regali avvelenati, che riducono le capacità offensive dell’Ucraina, che deve addestrare dei soldati per utilizzare un numero esiguo di mezzi. Infine, va preso atto che le sanzioni sono fallite e che dovevano fallire. Quando la Russia disse, a inizio guerra, che le sanzioni non l’avrebbero fermata; ecco, quello eravamo davanti ad un tipo di propaganda che diceva il vero. Perché la Russia è autarchica, ha una sua produzione alimentare ed energetica, che è la base della resistenza alle sanzioni.