Henry Kissinger, ex Segretario di Stato e consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti durante le presidenze Nixon e Ford, ha pubblicato sul Wall Street Journal un editoriale in cui analizza il futuro dell’ordine mondiale dopo la pandemia da Covid-19. Nonostante l’età (97 anni il prossimo 27 maggio), il “professor Henry”, già autore di innumerevoli saggi capolavoro del calibro di Diplomacy (1994), On China (2011) e World Order (2014), non manca di stupire per lucidità d’analisi. “L’atmosfera surreale della pandemia di Covid-19 evoca il periodo in cui mi sentivo da giovane nell’84a divisione di fanteria durante la Battaglia del Bulge. Ora, come alla fine del 1944, c’è un senso di pericolo insipido, rivolto non contro una persona in particolare, ma che colpisce casualmente e in maniera devastante” scrive Kissinger. “Ma c’è una differenza importante tra quel tempo lontano e il nostro. La resistenza americana fu fortificata da uno scopo nazionale ultimo. Ora, in un paese diviso, è necessario un governo efficiente e lungimirante per superare ostacoli senza precedenti in termini di portata globale”. 

Nulla, secondo l’ex Segretario di Stato americano, sarà più come prima dopo il coronavirus. “Quando la pandemia da Covid 19 sarà finita – osserva Kissinger – le istituzioni di molti Paesi verranno percepite come fallite. Se questo giudizio sia obiettivamente equo è irrilevante. La realtà è che il mondo non sarà più lo stesso dopo il coronavirus”.

Kissinger promuove Trump: “Ha fatto un buon lavoro”

Il celebre diplomatico e politologo promuove l’operato dell’amministrazione americana di Donald Trump: “L’amministrazione degli Stati Uniti ha fatto un buon lavoro per evitare la catastrofe immediata” osserva Henry Kissinger. “Il test finale – prosegue – sarà quello di verificare se la diffusione del virus può essere arrestata”. Ma lo sforzo dell’amministrazione Usa, per quanto “vasto e necessario”, non deve “escludere il compito urgente di avviare il passaggio dal mondo attuale all’ordine post-coronavirus”. I leader, spiega Kissinger, “stanno affrontando la crisi su base ampiamente nazionale” ma gli effetti del virus “non conoscono confini”. Mentre l’emergenza sanitaria sarà “temporanea”, lo sconvolgimento “politico ed economico che ha scatenato il virus potrebbe durare per generazioni”. Dunque nessun Paese, secondo l’ex Segretario di Stato, “nemmeno gli Stati Uniti”, può superare la crisi da solo. Serve dunque necessaria “una visione e un programma globale”.

Prendendo spunto dal Piano Marshall e dal Progetto Manhattan, gli Stati Uniti, nella visione di Kissinger, “sono obbligati a compiere uno sforzo notevole in tre settori”. Innanzitutto, “sostenere la resilienza globale alle malattie infettive”. Dobbiamo sviluppare, spiega, “nuove tecniche e tecnologie per il controllo delle infezioni”. Le città, gli stati e le regioni devono “costantemente prepararsi a proteggere i loro popoli dalle pandemie”.

“La crisi attuale? Peggio del 2008”

Oltre ad affrontare l’emergenza sanitaria, gli stati devono essere in grado di fronteggiare la crisi economica che, secondo Henry Kissinger, “è più complessa” rispetto a quella del 2008. La contrazione scatenata dal coronavirus, osserva, “è, nella sua velocità e scala globale, diversa da qualsiasi evento mai conosciuto nella storia. E le necessarie misure di sanità pubblica come l’allontanamento sociale e la chiusura di scuole e imprese stanno contribuendo alla sofferenza economica”. Pertanto, i programmi economici “dovrebbero anche cercare di migliorare gli effetti dell’imminente caos sulle popolazioni più vulnerabili del mondo”.

È inoltre fondamentale, secondo Kissinger, “salvaguardare i principi dell’ordine mondiale liberale”. La pandemia, sottolinea il “Professor Henry”, ha provocato un anacronismo, “una rinascita della città e delle sue mura” in un’epoca in cui la “prosperità dipende dal commercio globale e dal movimento delle persone. Le democrazie del mondo devono difendere e sostenere i loro valori illuministici”. Un ritiro globale dalla politica dell’equilibrio “causerà la disgregazione del contratto sociale sia a livello nazionale che internazionale. La sfida storica per i leader è gestire la crisi mentre si costruisce il futuro. Il fallimento potrebbe incendiare il mondo”.