Dietro l’improvvida intemerata contro il governo italiano del ministro dell’Interno francese Darminin vi sono più ragioni politiche. Più o meno confessabili. In primis vi è l’urgenza da parte dell’esecutivo Macron di spostare, almeno per un attimo, l’attenzione mediatica dal violentissimo scontro sociale attualmente in atto nel Paese scatenato dalla contestata riforma delle pensioni volta dal presidente. I gravi incidenti che hanno costellato le celebrazioni del primo maggio a Parigi, Nantes, Tolosa, Bordeaux, hanno imbarazzato soprattutto il responsabile dell’ordine pubblico transalpino. Nonostante il massiccio schieramento delle forze dell’ordine, i manifestanti – mezzo milione soltanto nella capitale – hanno sfilato per ore lasciando alle loro spalle nuvole di lacrimogeni, negozi distrutti, macchine incendiate e oltre 400 gendarmi e poliziotti all’ospedale.

Un disastro pieno per il già molto criticato Gèrald Darminin. A questo punto l’ex delfino di Sarkozy, poi passato armi e bagagli alla Macronia, ha cercato di sviare le accuse aprendo goffamente (o meglio riaprendo) la polemica con il governo italiano sulla questione immigrazione per ricevere a stretto giro una giusta e severa risposta dal ministro Tajani. Il resto è cronaca di questi giorni.

Ma in questa pochade gallica vi è anche un aspetto che va analizzato con la dovuta attenzione. Nella sua stramba requisitoria Darminin ha voluto paragonare, calcando fortemente i toni, il premier italiano a Marine Le Pen: «La signora Meloni, a capo di governo di estrema destra, è incapace di risolvere i problemi migratori per cui è stata eletta. E ancora: Meloni è come la Le Pen, si fa eleggere “vedrete” e poi quel che vediamo è che l’immigrazione non si ferma anzi si amplifica”.

Una forzatura apparentemente senza senso. Come è noto le strade delle due signore sono da tempo divergenti e ognuna segue il suo percorso politico senza incrociare l’altra. Del resto tra l’attuale inquilina di palazzo Chigi e la figlia di Jean Marie non è mai sbocciato qualcosa che assomigliasse nemmeno vagamente ad un sentimento di amicizia o di simpatia. Problemi caratteriali certo, ma anche e soprattutto una questione di differenti impostazioni culturali e di strategie.  

Dunque, apparentemente una boutade senza costrutto e senza senso. In realtà Darminin ha soltanto rivelato l’ansia crescente di ciò che resta del “fronte repubblicano” per la continua ascesa nei sondaggi del Rassemblement National. Un allarme ai limiti dell’isteria rilanciato pochi giorni fa su “Le Monde” da una delle firme più prestigiose, Françoise Frezzoz. L’editorialista ha fustigato severamente il governo e i partiti storici per la “totale cecità davanti all’avanzare di Marine Le Pen; nel clima deleterio in cui si contorce il paese lei è l’unica a crescere nei consensi. Mentre l’estrema sinistra cerca di dinamitare sistematicamente le istituzioni della V repubblica con la piazza, Marine Le Pen si alimenta da due fonti. Da una parte condanna la “brutalità” sociale del governo, dall’altra denuncia il caos e incarna il partito dell’ordine”.

Sullo sfondo le prossime presidenziali a cui Macron non potrà partecipare, la crisi del suo partito personale, “Reinaissance”, e l’agonia acclarata dei post-gollisti e dei socialisti.  Per gli analisti in caso d’elezioni lo scenario che si delinea è uno scontro all’ultimo voto, e dall’esito imprevedibile, tra la sinistra ultrà di NUPES e France insoumise e il partito lepenista. Per la nomenklatura francese, quello “stato profondo” che da sempre regge e decide le sorti della repubblica, una catastrofe annunciata. Da qui gli isterismi sui media e nel governo.

Nel frattempo i lepenisti proseguono, apparentemente imperturbabili, il loro nuovo cammino. In occasione del primo maggio hanno rinunciato alla tradizionale deposizione di fiori al monumento parigino di Giovanna d’Arco (un vezzo del vecchio Le Pen che ricordava troppo Petain) e hanno invece optato per una grande manifestazione – assolutamente pacifica… – a Le Havre, una delle principali città industriali della Francia settentrionale. Inaugurando la “Festa del lavoro e della patria”, Marine ha attaccato la riforma macroniana con toni volutamente responsabili – “in politica le decisioni si costruiscono con il consenso non con la forza” – e ha ribadito davanti ad un uditorio attento i suoi nuovi cavalli di battaglia: la transizione tecnologica, “in cui l’Europa è in ritardo”, la transizione ecologica, “un salto nel buio”, la transizione demografica e migratoria e la transizione di civiltà,  una forzatura inaccettabile voluta dalla pessima ondata “wokes”. La corsa verso le prossime presidenziali francesi è ormai scattata.

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