C’è chi lo ama, c’è chi lo odia. Eroe della Brexit per alcuni, affossatore dell’Europa per altri. Fino ad un mese fa il premier britannico Boris Johnson era alle prese con lo storico divorzio dall’Europa, pietra miliare di una carriera da leader. Poi venne il coronavirus, prima sottovalutato, poi la discutibile ipotesi dell’immunità di gregge, fino ad inciampare egli stesso nel terribile Covid-19. Da qui, un cambio netto di strategia: meno show della personalità, toni duri, misure draconiane.

Popolarità in ascesa

Nonostante in Gran Bretagna la fiducia economica sia crollata nel corso dell’ultimo mese, i sudditi di Sua Maestà sostengono ampiamente il modo in cui il governo di Boris Johnson sta gestendo la crisi del coronavirus. Lo rivela un sondaggio esclusivo di Ipsos MORI che rivela che il pessimismo sull’economia è precipitato al livello peggiore dal crollo bancario del 2008 ma che quasi la metà degli intervistati ripone grande fiducia nel Primo Ministro e nel suo responsabile medico Chris Whitty. I giovani sono molto più critici nei confronti del governo sul coronavirus: complessivamente, se il 49% pensa che Johnson sia l’uomo giusto per l’emergenza, nella fascia tra i 18 e i 34 anni la percentuale di gradimento cala al 28% .

Qualche settimana fa, sembrava che la politica del Regno Unito non potesse parlare di nulla oltre la Brexit ma, come altrove, il coronavirus ha ribaltato la politica britannica. A differenza della Brexit, che continua a dividere l’opinione pubblica in modo abbastanza uniforme, la crisi del coronavirus ha provocato uno scoppio di unità nazionale sconosciuta in tempi recenti.

La sindrome rally ’round the flag

Questo picco di popolarità è ciò che gli analisti chiamano sindrome o effetto rally ’round the flag. Questa tendenza venne teorizzata e codificata dall’analista politico John Mueller nel 1970 in un celebre studio intitolato Presidential Popularity from Truman to Johnson. Il lavoro di Mueller serviva a spiegare il maggiore sostegno popolare a breve termine del presidente degli Stati Uniti durante i periodi di crisi o guerre internazionali: la crisi cubana, Pearl Harbour oppure la vicenda degli ostaggi a Teheran ne sono stati esempi celebri, al netto del valore politico e del destino dei leader che ne furono protagonisti. Il piccolo di popolarità di Boris Johnson in queste settimane ne è un’espressione da manuale.

Un altro sondaggio, questa volta da parte della piattaforma Number Cruncher, in esclusiva per Bloomberg,  ha rilevato una popolarità crescente per Johnson che non si vedeva dai primi giorni del mandato di Tony Blair nel 1997. Il 72% degli elettori intervistati è soddisfatto della prestazione di Johnson come Primo Ministro, con solo il 25% insoddisfatto. Il novantuno per cento di coloro che attualmente sostengono i Conservatori si ritengono soddisfatti, insieme a circa la metà degli elettori laburisti e quelli che votano per altri partiti e un’ampia maggioranza di elettori indecisi. Il governo di Johnson ottiene valutazioni di approvazione simili, sia nel complesso (dal 73% al 24%) sia nella gestione dell’epidemia da Coronavirus (dal 72% al 25%). Le rilevazioni sono state compiute immediatamente dopo il discorso alla nazione da parte del leader e prima dell’annuncio della sua positività al Covid-19.

Vittima degli eventi il leader del partito laburista Jeremy Corbyn, il cui successore sarà nominato il 4 aprile, che registra un 54% di detrattori. Quanto è reale questo boom di consensi? Indubbiamente è figlio dei tempi, in cui la polarizzazione politica lascia il passo all’unità, ai simboli, alla disciplina nazionale ed un leader, anche il più scialbo o contestato, appare una guida sicura. Una tendenza non solo britannica: la crisi, infatti, sta dotando di lustro politico anche Emmanuel Macron in Francia, Giuseppe Conte in Italia e Justin Trudeau in Canada, decisamente in ascesa nei sondaggi. Stessa cosa dicasi per Trump, nel Paese che nelle ultime ha superato Cina e Italia in fatto di contagi e che vivrà la propria stagione elettorale 2020 nel bel mezzo di una pandemia.

Se si votasse oggi?

Il sondaggio si spinge oltre, dando un’occhiata a precedenti storici di rilievo e a ipotesi di voto. Tra i probabili elettori, il 54% sceglierebbe i Conservatori, con un aumento di nove punti rispetto alle elezioni di dicembre (esclusa l’Irlanda del Nord). Nessun governo conservatore ha mai avuto una così alta valutazione nei sondaggi a partire dal 1943. I laburisti sono scesi di cinque punti al 28%, i liberaldemocratici – che questa settimana hanno rinviato le loro elezioni al 2021 – calano anche loro di cinque punti sino al 7% .

Ovviamente, nessuna elezione nel Regno Unito è imminente, anche le elezioni locali previste per maggio sono state rinviate al prossimo anno. Inoltre, essere estremamente popolare in una guerra o in una situazione simile a una guerra può finire con una sconfitta elettorale, come molti precedenti storici hanno dimostrato. E questo prima di considerare il probabile danno economico del coronavirus, che è alle porte: cosa accadrà quando si dovrà votare la popolarità del leader nel mezzo di una recessione post-pandemia? Johnson, se vorrà tutelare questo consenso storico, dovrà già pensare al dopo. Vincere una guerra non vuol dire essere salvi nell’urna elettorale. Winston Churcill docet.

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