L’operazione è difficile, perché si tratta di ribaltare una narrativa intera (oltre che risultati consolidati pochi mesi fa): quella che lo dà per finito. Tuttavia, l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump sembra crederci davvero: la raccolta fondi di cui si parla in questi giorni può rappresentare un principio di rivalsa. La sfida per le elezioni di medio termine è abbastanza vicina: il 2022 è lì. Per la Casa Bianca, invece, mancano più di tre anni. Quei 102 milioni di dollari che The Donald è riuscito a raggruppare in pochi mesi dimostrano soprattutto una cosa: Trump non ha perso la tipica capacità di fare presa. Dal basso dei sostenitori è arrivato dunque un segnale, oltre che corposi finanziamenti destinati all’attività politica tramite SuperPac.

Mentre il leader populista è impegnato a verificare la fattibilità di un sua seconda discesa nell’agone, il Partito Repubblicano è immerso in una lotta serrata tra chi vorrebbe “de-trumpizzare” il Gop e chi, al contrario, pensa che ormai il fenomeno Trump non possa essere riposto nel dimenticatoio. Ecco, quei 102 milioni di dollari sono un messaggio inoltrato a Mitt Romney ed a tutti coloro che hanno lavorato da dentro il partito affinché l’ex inquilino della Casa Bianca si facesse da parte.

Se la sfida del Gop dovrebbe risolversi in favore di Trump (all’orizzonte non c’è, per ora, un vero competitor in grado di mettere in discussione la leadership), che ha ormai segnato le istanze, lo stile e le priorità politiche del mondo repubblicano, la riproposizione di un duello tra Joe Biden ed il magnate preoccupa, e non poco, anche i trumpisti di ferro. Perché Trump del resto, peraltro da outsider e non più da uscente, dovrebbe impensierire un candidato da cui è già stato sconfitto? Sarebbe un terremoto mai verificatosi nella storia della democrazia americana. E di domande perplesse nei circolano parecchie tra i conservatori.

Ogni contesa delle primarie valevoli per le medio-termine sarà un banco di prova. Ogni trumpiano si dimostri in grado di battere un diretto concorrente moderato un punto in più sul pallottoliere della causa sovranista. Sarà una corsa lunga. E non è neppure detto che Trump, lungo il suo cammino, incontri solo ostacoli di natura politica. Come specificato da Il Corriere della Sera, il tycoon non sta vivendo un periodo all’acqua di rose: al netto del ban dai social, ban che comunque limita la comunicazione e l’incisività di Trump sul piano dell’opinione pubblica americana ed internazionale, The Donald deve anche fare i conti con le inchieste che stanno coinvolgendo la sua realtà aziendale. Non si tratta soltanto di combattere in politica, quindi, ma anche di schivare quelli che lui chiama “attacchi”, ma che possono nascondere problematiche ben più grosse di una strumentalizzazione da parte degli inquirenti. Una su tutti: la questione della frode fiscale.

Poi esistono anche gli avversari ed alcuni fattori su cui i Democratici potranno contare da qua al 2024. Uno tra quest’ultimi è di sicuro la mutazione della demografia elettorale, con le cosiddette “minoranze” che continuano a crescere in termini numerici: la forbice tra sinistra e destra, negli Stati Uniti, sembra destinata ad allargarsi. Insomma, quello di Trump, nel caso decidesse davvero di provarci nel 2024, sarebbe più un azzardo che altro. Ma con il tycoon, come abbiamo imparato in questi sei anni, non si sa mai. Non è neppure scontato – questo è un altro elemento – che il candidato dei Dem sia il presidente Joe Biden: la successione della vice Kamala Harris è telefonata da tempo. Si ipotizza persino che il passaggio possa venire durante e non dopo questo mandato presidenziale. Ma per Trump cambia poco: se fosse un calcolatore, nel 2016 non ci avrebbe provato. Tutto all’epoca, un po’ come oggi, sconsigliava la sua partecipazione.