Tutti (forse) sono utili, nessuno è indispensabile. Sembra essere questo il leitmotiv dominante nelle cancellerie internazionali di fronte alla crisi di governo che sta mettendo a repentaglio la seconda esperienza di Giuseppe Conte alla guida dell’esecutivo italiano. Come del resto già la Commissione europea aveva annunciato tra le righe, non ci sarà in arrivo alcun equivalente del “Giuseppi” proveniente da Oltre Atlantico con cui, nell’estate 2019, Donald Trump blindò la permanenza di Conte a Palazzo Chigi all’inizio dell’esperienza M5S-Pd.
Da tempo la figura del presidente del Consiglio non godeva dello stesso consenso che, a partire dal suo esordio nel 2018, l’avvocato divenuto premier si era gradualmente costruito a livello internazionale. Complici, ovviamente, le praterie lasciate aperte in questo ambito dai suoi vicepremier Lugi Di Maio e Matteo Salvini, come ben evidenziato in Conte e Mattarella, il recente saggio di Paolo Armaroli. Il flop dell’esecutivo giallorosso sulla presentazione di una strategia vincente sul Recovery Fund, unitamente alla querelle politica sul Mes, che ha profondamente irritato Francia e Germania, ha tolto in un certo senso il terreno sotto i piedi a un premier che proprio dell’europeismo ferreo del suo governo e della garanzia di Ursula von der Leyen, Angela Merkel e Emmanuel Macron sulla sua affidabilità faceva una ragione di rilevanza politica interna. Agli occhi, ovviamente, della sua stessa coalizione cui Conte si è plasticamente adattato.
Più che il nome del presidente del Consiglio, la composizione della maggioranza e gli equilibri interni l’Unione europea sembra essersi orientata sulla necessità di incassare quanto prima i piani italiani per Next Generation Eu, sui quali nonostante gli avvertimenti di chi, in seno al governo (Enzo Amendola), chiedeva un’accelerazione Roma si trova pericolosamente in ritardo. La deadline primaverile per il ricevimento dei primi fondi anticipati rischia di essere mancata, e in questo caso se il primo beneficiario (209 miliardi di euro tra prestiti e sussidi) “bucasse” il Recovery Plan l’Unione Europea subirebbe un danno d’immagine non secondario.
“La necessità di una soluzione rapida della crisi è l’ unico punto che viene apertamente sottolineato nelle dichiarazioni ufficiali, che comunque sono scarse e striminzite”, fa notare Dagospia, ma se da un lato le fonti sentite dalla testata si dichiarano abbastanza ostili all’ipotesi di un ritorno alle urne e criticano il tempismo della rottura di Matteo Renzi dall’altro “tra le soluzioni per uscirne, quella della caccia ai responsabili viene vista con po’ di scetticismo e tanta preoccupazione”, in quanto fonte di indebolimento e non di rafforzamento dell’esecutivo, che sarebbe costretto a dipendere dagli umori di pochi senatori sparsi.
Quel che è certo è che gli ambienti che contano nell’Europa politica e finanziaria iniziano ad alzare la loro pressione su Conte. Non più ritenuto la chiave di volta per la difesa degli interessi europei in Italia e del dialogo tra Roma e i Paesi di punta dell’Unione. A dicembre il termometro di questo scontento era misurabile dall’avanzamento delle critiche sulla stampa tedesca specializzata in materie economico-finanziarie. Il Borsen Zeitun ha messo nel mirino l’Italia e l’ha definita “una polveriera che potrebbe far esplodere l’Eurozona” nel caso in cui il governo Conte II fallisse nell’obiettivo di portare risultati sul Recovery Fund. Critiche che ai tempi erano simili a quelle promosse dal Frankfurter Allgemeine Zeitung. E proprio la prestigiosa Faz, il Financial Times continentale, la voce degli interessi della capitale finanziaria d’Europa e sede della Bce, in questi giorni è estremamente vigile nei confronti di Roma.
Nikolas Busse, responsabile della Faz per gli esteri, ha parlato addirittura di “miseria italiana” per il fatto che la crisi mette a rischio le certezze europee sul Recovery; ha accusato Conte e i Cinque Stelle di voler piegare il Recovery Fund al “clientelismo” e Renzi di eccessivo narcisismo. L’unica figura che sembra esser risparmiata dalle critiche è quella del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, indicato dalla Faz come il regista degli equilibri futuri del Paese in caso di caduta di Conte.
La situazione è dunque estremamente delicata e complessa. Il rischio grande, per l’Italia, è di passare, in caso di soluzione politica incerta o traballante, come capro espiatorio dell’Europa di fronte a un Recovery Fund che ha già dimostrato in partenza di non poter bastare, da solo, a riassorbire i danni della pandemia e a prospettive di ripresa incerte su scala continentale. Il governo Conte II era nato con l’illusione di poter trarre giovamento politico dal suo sbandierato europeismo acritico e di aver rilanciato prestigio e prospettive del Paese nel Vecchio Continente. Tale espediente retorico si è spesso scontrato con la realtà dei fatti, molto più complessa, vissuta dall’Italia. E la legge del contrappasso rischia di far pagare caro il proprio prezzo: proprio l’Ue ora non reputa più Conte indispensabile, mentre nella fase più critica dell’era giallorossa si capisce quanto i proclami sul rilancio del prestigio italiano nel Vecchio Continente fossero solo chiacchiere al vento.