Il caso dell’arresto della direttrice finanziaria di Huawei ha scoperchiato il vaso di Pandora della guerra economica tra Cina e Stati Uniti per la supremazia nel campo della tecnologia di frontiera, destinata a rivoluzionare con forza i rapporti economici globali nei prossimi decenni. A dirlo è l’organo ufficiale della Repubblica Popolare Cinese, il Global Times.

Anche ai vertici dell’impero di Xi Jinping si percepisce la gravità del gesto degli Stati Uniti di Donald Trump. La tregua commerciale del G20 è già sepolta. Si riaccende una rivalità di portata globale: il duello in campo tecnologico sarà decisivo per capire quale sarà la potenza dominante del Ventunesimo secolo Il 5G appare, in questo contesto, il più duro terreno di scontro, assieme a quello dell’intelligenza artificiale in cui Pechino oramai sfida apertamente il primato degli Stati Uniti, colmando settimana dopo settimana il gap attraverso una cascata di miliardi di investimenti statali e una programmazione attenta delle operazioni dei colossi della tecnologia, completamente inquadrati nella strategia del Partito Comunista.





Come sottolinea Il Foglio, “La ricerca sull’ intelligenza artificiale, infatti, si basa in gran parte sull’ apporto delle grandi aziende digitali, da Google e Amazon a Baidu e Tencent, e qui il protezionismo è feroce, specie da parte cinese: Pechino non vuole i giganti americani nel suo mercato, e se prima le ragioni principali riguardavano la censura del dissenso, oggi riguardano la lotta per la supremazia nell’ intelligenza artificiale. Nell’ottobre del 2017, Xi Jinping ha tenuto al Congresso del Partito un discorso di più di tre ore in cui esortava il popolo a diventare il numero uno nel campo, perché questa tecnologia cambierà il mondo”.

Xi Jinping ha fissato in 150 miliardi di dollari l’obiettivo di spesa per conseguire la supremazia globale nell’intelligenza artificiale entro il 2030. Ciò si integra alla perfezione per lo sforzo globale sul 5G: Chi costruirà le reti migliori, ne dominerà i flussi. E chi ne dominerà i flussi avrà una posizione di rilevanza nell’intelligenza artificiale di domani. 

Inoltre, attraverso l’ambizioso piano di trasformazione industriale “Made in China 2025” l’Impero di Mezzo, scrive il South China Morning Post, si ripropone di “innalzare nella catena del valore le imprese nazionali, in settori come la robotica, l’aerospaziale, i veicoli innovativi, i nuovi materiali, rimpiazzando le importazioni con prodotti locali e costruendo campioni nazionali capaci di sfidare i giganti occidentali nelle tecnologie di frontiera”.

Gli Stati Uniti di Donald Trump percepiscono come precipua la minaccia cinese alla loro supremazia e si arroccano nella difesa di uno status quo che li vede egemoni nel campo del controllo dei dati scambiati da una parte all’altra nel mondo, fattore principale di potenza assieme al controllo delle rotte commerciali oceaniche e al ruolo globale del dollaro. Basti pensare al peso geostrategico della Sicilia in questo terreno.

Allo stato attuale delle cose, tuttavia, “di dati i cinesi ne raccolgono molti di più degli americani”, ha scritto Marcello Bussi su Milano Finanza, ripreso da Dagospia. I numeri sono fondamentali: “i cinesi clienti della telefonia mobile sono tre volte più numerosi degli americani e spendono 50 volte di più perché usano gli smartphone per pagare di tutto, dal biglietto della metropolitana alla cena in un ristorante, perfino per dare l’elemosina ai mendicanti. WeChat è come avere concentrati in un’unica app Facebook, Twitter e il conto in banca online. La protezione della privacy è molto più debole che negli Stati Uniti, per non parlare dell’Europa. E il governo ha maggiore facilità di accesso ai dati personali per ragioni di sicurezza, mentre in Occidente gli ostacoli legali sono decisamente maggiori. Insomma, la base di dati dell’AI cinese è molto più vasta di quella occidentale”.

Tutto questo delinea uno scenario di estrema complessità, che rende difficile ritenere che il braccio di ferro sul 5G generato dal caso Huawei possa esaurirsi in un singolo terreno di scontro. La sfida è oramai conclamata e genera conseguenze in ogni campo: basti pensare al timore statunitense per una mossa dura della Cina sull’export di terre rare, materiali fondamentali per l’industria tecnologica di cui Pechino è produttore pressoché monopolista. Forse la “trappola di Tucidide”, lo scontro tra la potenza egemone e lo sfidante in rapida ascesa, non scoppierà manu militari nel Mar Cinese Meridionale, ma si risolverà in guerra tecnologica senza esclusione di colpi. Con l’esito preossché impossibile di una vittoria totale di uno dei due contendenti. 

Secondo Eric Schmidt, ex Ad di Google, potrebbero nascere due versioni distinte di internet entro il 2028, una parte gestita dalla Cina e l’altra dagli Stati Uniti. La guerra fredda tecnologica potrebbe essere conseguenza della guerra “calda” dei dazi, della corsa all’egemonia e della gara per il 5G e l’Ai. Uno scenario lontano ma tutt’altro che improbabile: sempre che Cina e Stati Uniti non siano decisi a venire a patti per fermare la rovinosa guerra tecnologica che li vede coinvolti.

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