L’avvicinamento all’inizio dei Mondiali di calcio di Russia 2018, i cui gironi sono stati estratti al Cremlino nella giornata di venerdì 1 dicembre, è stato contrassegnato, in campo occidentale, da un ritorno di fiamma in campo mediatico di numerose accuse circostanziali e pregiudizievoli nei confronti della Russia stessa che circolano in maniera continua ogniqualvolta il Paese ospita un’importante manifestazione sportiva.

Lo sport è importante elemento di soft power e non è un caso che, in un’epoca segnata dal ritorno di fiamma di una russofobia acritica, le accuse nei confronti della Russia, del suo sistema politico e del suo Presidente Vladimir Putin siano risultate particolarmente accanite in occasione di grandi manifestazioni sportive, come successo ai tempi delle Olimpiadi invernali di Sochi 2014, o di controversie come quella legata al celebre Rapporto McLaren sul doping.





Una chiave di lettura superficiale, perorata anche dalla nostra Gazzetta dello Sport e dal Financial Timesdipinge gli imminenti Mondiali di calcio come una manifestazione “di regime”. Putin, implicitamente paragonato al Benito Mussolini del 1934 o ai colonnelli argentini del 1978, sfrutterebbe a fini propagandistici i Mondiali di calcio, e non è concessa nemmeno alla Russia l’attenuante di riporre fiducia nel favorevole svolgimento della manifestazione.

La condotta dei media occidentali nei confronti della Russia non rappresenta affatto una novità: la Russia era stata strumentalmente attaccata anche negli scorsi anni, quando la contemporaneità tra le Olimpiadi di Sochi e l’inizio della crisi ucraina e le roboanti accuse di doping del 2016 sembrarono portare acqua al mulino dei demonizzatori del Cremlino.

Sochi 2014 e Mondiali di calcio 2018: una sconcertante acriticità

Guy Mettan, nel suo notevole saggio Russofobia, dedica un’importante analisi alle accuse strumentalmente rivolte verso la Russia da parte di numerose istituzioni politiche e mediatiche occidentali in occasione dei Giochi Olimpici invernali tenutisi a Sochi nel 2014.

Un primo terreno di accusa era relativo ai costi sostenuti dal governo per la manifestazione: quantificati in 51 miliardi di dollari, essi furono sicuramente elevati, ma l’incremento netto rispetto al budget inizialmente stanziato da Mosca, pari a 12 miliardi di dollari, fu dovuto alla decisione di inserire le costruzioni delle strutture olimpiche in un più ampio progetto volto a qualificare l’intera regione di Sochi. Linee di trasmissione energetica, infrastrutture ferroviarie e sistemi anti-inquinamento furono sviluppati in tutta l’area circostante la città, producendo un effetto a lungo termine di cui i cittadini continuano a godere, mentre Sochi è diventata una città di riferimento per i leader stranieri che si recano a incontrare gli esponenti governativi russi.

Al tempo stesso, gli incrementi di budget previsti per i Mondiali di calcio porteranno la manifestazione ad assorbire circa 10,8 miliardi di dollari, che in gran parte condurranno a migliorie nelle reti di comunicazioni di città popolose come Mosca e San Pietroburgo, che si prevede saranno affollate da oltre un milione di visitatori stranieri.

Inoltre, tanto nel 2014 quanto oggi, in vista dei Mondiali di calcio, si è verificata una prevedibile saldatura tra sport e geopolitica: allora il coinvolgimento della Russia nella questione ucraina e la sua opposizione a quella che si è rivelata poi essere la “falsa Rivoluzione” di Maidan, oggi l’appoggio di Vladimir Putin al legittimo governo siriano hanno scatenato i fautori del politically correct contro lo svolgimento delle manifestazioni nel Paese.

Rapporto McLaren: il grande bluff

Quando, il 18 luglio 2016, il rapporto commissionato dalla World Anti-Doping Agency (WADA) commissionato al canadese Richard McLaren fu pubblicato, le accuse lanciate contro la Russia furono pesantissime e infamanti: McLaren accusava i servizi segreti russi, il Ministero dello Sport guidato da Vitaly Mutko e le federazioni agonistiche russe di aver costruito un sistema di doping di Stato in occasione dei precedenti appuntamenti olimpiche.

Il rapporto causò un’ondata di indignazione mediatica che prevaricò sulle esigenze di una corretta analisi del suo contenuto e portò alla deprecabile, per non dire odiosa, esclusione degli atleti di Mosca dalle Paralimpiadi estive e alla messa in dubbio dell’assegnazione dei Mondiali di calcio 2018. Si ignorava come il rapporto fosse costellato da numerose lacune, in quanto pregiudizievolmente basato sulle sole dichiarazioni di Grigory Rodchenkov, ex dipendente del laboratorio anti-doping di Mosca e in seguito clamorosamente smentito dalla stessa WADA, che a settembre ha prosciolto 95 dei 98 atleti russi indagati.

Da Sochi ai Mondiali di calcio 2018, dunque, lo sport è diventato “arma di distrazione di massa” e strumento d’accusa contro la Russia, portata sul banco degli imputati con modalità che, come abbiamo visto, si sono ripetute nel corso degli anni. Tali manovre strumentali non solo sono complici all’alimentazione di una russofobia deleteria per gli interessi di Mosca e dello stesso Occidente, ma al tempo stesso violano il principio di base che vede nelle manifestazioni sportive come Olimpiadi e Mondiali di calcio fattori di unione e non di frattura tra i principali Paesi del mondo.

 

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