Strada molto rischiosa quella scelta dal governo iraniano: il presidente Hassan Rouhani, stretto nella morsa delle sanzioni Usa inasprite da Donald Trump, sa che da qualche parte deve pur prendere i soldi. Lui stesso ha ammesso ad inizio mese che ad ottobre le esportazioni di greggio sono state tra le più basse di sempre, appare più difficile vendere petrolio e le sanzioni stanno comportando noie anche da un punto di vista finanziario. Ecco perché venerdì scorso sono stati introdotti razionamenti della benzina, ma soprattutto aumenti del costo del carburante. 

La strategia di Teheran

Il ragionamento fatto dal governo iraniano parte dal presupposto che tutto ciò che bisogna evitare è una rivolta come quella in corso nel vicino Iraq. Qui a scendere in piazza sono stati i ceti meno abbienti, quelli che non hanno più accesso a momenti nemmeno ai beni di prima necessità. Nel sud dell’Iraq la popolazione vede aumentare costantemente il numero di tir e camion che trasportano all’estero il petrolio (il paese sta registrando aumenti record nell’estrazione e nella vendita di oro nero) ma al tempo stesso non nota alcuna ricaduta positiva nella propria quotidianità. Anzi, in alcune province meridionali a mancare a volte è l’erogazione di acqua ed elettricità, intere fasce della popolazione sono ridotte allo stremo.

Una situazione che in Iran si vuole evitare. Il paese da anni concede sussidi ed assistenza alle fasce più in difficoltà. Secondo lo stesso Rouhani, ci sono almeno 18 milioni di famiglie a rischio povertà nel paese a cui il governo garantisce comunque l’accesso ai beni essenziali. Il timore principale di Teheran è che far pesare su queste famiglie la crisi innescata dalle sanzioni, vorrebbe significare avere in caso lo stesso scenario iracheno. Per questo allora si sta procedendo all’innalzamento dei costi della benzina: le entrate derivanti dalle nuove imposte, andranno a sopperire ai mancati introiti del petrolio e si potranno così continuare a finanziare i sostegni per le famiglie più povere.

Le incognite

Ma la strada intrapresa da governo di Rouhani non è certo priva di rischi. Andare a mettere mani sui prezzi dei beni di prima necessità, provoca comunque un certo malcontento. Ed infatti è da venerdì che in Iran vengono registrate proteste e manifestazioni in gran parte delle città più importanti. Al momento i morti accertati sono una dozzina, ma Amnesty International ha parlato nelle ultime ore di più di cento vittime. Difficile verificare la situazione, anche perché la rete internet è andata avanti a singhiozzo dall’inizio delle proteste, di certo c’è che l’Iran è attraversato da un momento di importante fibrillazione.

Un contesto che il governo certamente si aspettava ed ha messo in conto, ma che appare, secondo la visione della governance iraniana, al momento il male minore. Meglio avere momentanee rimostranze della classe media, è il ragionamento di Rouhani e del suo governo, che una cronica mobilitazione delle fasce meno abbienti. L’Iran in poche parole potrebbe essere in grado di gestire le attuali proteste, ma correrebbe il rischio di sprofondare nel momento in cui ad essere maggiormente delusa è la classe più povera della popolazione. Come detto però, le incognite non mancano: quando in medio oriente si ritoccano i prezzi di pane e carburanti le conseguenze sono sempre imprevedibili.





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