Non si placa l’incubo «emailgate» per la candidata democratica alla Casa Bianca Hillary Clinton. Il Dipartimento di Stato americano ha infatti reso noto che l’FBI avrebbe recuperato una trentina di e-mail, precedentemente cancellate, che sarebbero correlate all’attacco al consolato americano del 11 settembre 2012 a Bengasi, in Libia, in cui vennero uccisi l’ambasciatore J. Christopher Stevens, il diplomatico Sean Smith e altri due americani. Come ha riportato nelle scorse ore l’Associated Press, si tratta di messaggi decriptati provenienti dal server di Hillary Clinton nell’ambito dell’inchiesta sull’utilizzo di account e-mail e server privati durante il suo mandato da Segretario di Stato, dal 2009 al 2013.Per approfondire: “Con Clinton presidente sarà guerra mondiale”Si tratta di e-mail che non farebbero parte del malloppo di 55 mila pagine consegnate e depositate dalla stessa Clinton nei mesi scorsi e contenenti oltre 30 mila e-mail.Il Dipartimento di Stato ha chiesto tempo fino alla fine di settembre per controllare ed esaminare attentamente tutti i documenti, ma il giudice che si occupa del caso, Amit P.Mehta, ha chiesto maggiore celerità nelle operazioni e ha preteso informazioni più dettagliate nel giro di una settimana.L’ultima udienza si è svolta martedì nell’ambito di una delle causa intentate dal gruppo legale conservatore Judicial Watch, che ha incalzato l’ex Segretario di Stato proprio sull’uso dei server di email privati quando ricopriva tale carica durante il primo mandato del presidente Barack Obama.In sua difesa, la Clinton ha sempre sostenuto che le e-mail cancellate dai server della sua posta elettronica personale nulla avevano a che fare con l’attività di Segretario di Stato: tuttavia, con l’avvicinarsi delle elezioni di novembre, i repubblicani spingono per la pubblicazione delle e-mail, e il prima possibile. Un funzionario di polizia, sentito dall’Associated Press in forma anonima, avrebbe confermato che la documentazione dovrebbe essere presto resa pubblica in nome della legge sul “Freedom of information act”, che impone alle amministrazioni pubbliche una serie di regole per permettere a chiunque di conoscere come opera il Governo federale, compreso l’accesso totale o parziale a documenti classificati.Ma non è finita qui perché Judicial Watch ha presentato 25 domande in merito alla decisione della candidata democratica, appena insediatasi nel 2009, di affidarsi ad un server privato, con sede in un seminterrato di sua proprietà a New York, piuttosto che ad un account governativo. Su questo si è pronunciato all’inizio di agosto il giudice della Corte Distrettuale Emmet G. Sullivan, il quale ha confermato che la Clinton dovrà rispondere ai quesiti sotto giuramento: le tempistiche non sono ancora chiare e non è stato reso noto se l’Ex Segetario di Stato dovrà fare chiarezza prima o dopo le elezioni di novembre, benché, almeno secondo “Judicial Watch”, la scadenza di questo appuntamento dovrebbe essere entro e non oltre il 29 settembre.Per approfondire: Perché la Clinton odia PutinNelle scorse settimane il direttore dell’FBI James Comey aveva definito le azioni di Hillary Clinton e la sua gestione dei server “estremamente imprudente”, ma aveva escluso, in modo abbastanza perentorio, una possibile incriminazione. Ora anche quest’ipotesi non è affatto da scartare.Ma perché Hillary Clinton avrebbe cancellato queste e-mail? Che cosa contenevano? Non si tratta di una notizia in realtà del tutto inedita. Oltre a Russia Today, che aveva ricevuto e pubblicato alcune e-mail decriptate già nel 2013 su Bengasi e trafugate dall’hacker rumeno Marcel Lazăr Lehel (noto come “Guccifer»), anche l’analista William Reynolds, in un articolo pubblicato lo scorso marzo su Zerohedge e Medium.com, si è occupato del caso, partendo proprio da quella prima “fuga” di e-mail: egli dunque sostiene che l’attentato di Bengasi sia stato finanziato in realtà dall’Arabia Saudita, tra i maggiori sponsor della “Clinton Foundation”. Reynolds si concentra in particolare su un “e-mail mancante del 16 febbraio 2013, in cui si affermava che le agenzie d’intelligence francesi e libiche avevano prove che gli attacchi ad In Amenas, in Algeria, e Bengasi furono finanziati da islamisti sunniti dell’Arabia Saudita”.Ricostruzione “complottista”? Può anche darsi. Trattasi indubbiamente di un’ipotesi inquietante, su cui quest’indagine potrebbe finalmente fare luce. Ma lo scandalo “emailgate” ha fatto sinora emergere tante di quelle scomode verità da far passare notti insonni alla candidata democratica. E da qui alle elezioni di novembre il percorso è ancora molto lungo e i colpi di scena potrebbero non mancare. Certo è che su Hillary Clinton, sostenuta dall’establishment americano, le ombre cominciano a farsi sempre più ingombranti.
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