Il grande progetto avviato dal governo cinese di Xi Jinping, la Belt and Road Initiative divenuta oramai celebre componente nel discorso dell’attualità politica, oramai travalica l’idea iniziale di un rilancio della storica “Nuova via della seta” e di un potenziamento della connettività marittima sull’asse indopacifico e coinvolge, nel suo quadro aggregato, anche regioni tanto distanti tra loro come l’Artico o il continente sudamericano.

La Cina ha sempre puntato a rafforzare la percezione internazionale del suo grande progetto commerciale ed infrastrutturale sottolineandone la portata multilaterale (del senso vitale per un suo compiuto svolgimento) e, come ricorda Diego Angelo Bertozzi nel suo recente saggio dedicato alla Belt and Road Initiative, promuovendolo in maniera ben ponderata: lo stesso riferimento a una “iniziativa”, piuttosto che a una “strategia”, trasmette l’idea della gradualità, dell’inclusività, della cooperazione che rappresenta, di fatto, il punto focale della “Nuova via della seta”.





Tuttavia, le mosse di Pechino hanno attratto il risentimento di numerosi attori geopolitici di elevata statura. Stati Uniti, India, Giappone ed Australia ne stigmatizzano i risvolti geopolitici e, Nuova Delhi in primis, paragonano la Belt and Road Initiative al cavallo di Troia per il rilancio della presenza militare, soprattutto navale, di Pechino in Eurasia e nell’Indo-Pacifico. Ipotesi che appare suffragata dalla natura duplice di progetti infrastrutturali come il porto pakistano di Gwadar o il previsto canale di Kra, in Thailandia. L’Unione Europea, invece, ha stigmatizzato in un memorandum siglato da tutti i suoi rappresentanti a Pechino, escluso quello ungherese, la sua contrarietà ai principi di liberalizzazione commerciale stabiliti da Bruxelles.

Tutti questi Stati e istituzioni vivono però un duplice dilemma: come conciliare i dubbi strategici riguardanti la Belt and Road Initiative con la volontà di partecipare, almeno parzialmente, ai suoi dividendi strategici? Diverse cancellerie hanno attuato piani notevolmente differenti per risolvere questo intrico.

L’Ue lascia agli Stati il pallino sulla “Nuova via della seta”

Bruxelles ha criticato il fatto che la Cina possa permettere alle sue aziende statali di giocare un ruolo dominante nel mercato comunitario, ma al tempo stesso gli Stati si muovono in ordine sparso. Nel mese di il Presidente francese Emmanuel Macron si è recato in Cina, ove è stato accolto trionfalmente da Xi Jinping, confermando la volontà francese di investire credito geopolitico sulla “Nuova via della seta”

L’Italia, al momento, è invece in ritardo da questo punto di vista, sebbene risulti chiaro come la sua posizione al centro del Mediterraneo risulterebbe strategicamente cruciale per il dispiegamento delle nuove rotte commerciali. Il cuore dell’azione cinese, allo stato attuale delle cose, è tuttavia in Europa orientale: i dialoghi 16+1 e il crescente attivismo di Pechino nell’area lasciano intendere che, in futuro, nuove astensioni benevole dalle critiche di Bruxelles si uniranno a quella del governo Orban. 

L’India prova ad imparare dal Giappone

Il recente vertice tra Narendra Modi e Xi Jinping ricorda che tra Cina e India un dialogo esiste, ed è costante, al netto delle rivalità e delle incomprensioni. The Diplomat segnala come l’India dovrebbe apprendere dal Giappone nell’elaborazione della sua strategia verso la “Nuova via della seta”, proponendo una partecipazione aperta ai progetti che risultino chiari e definiti nelle norme fondamentali, come stabilito tra Pechino e Tokyo nella recente edizione del  China-Japan Economic Dialogue, tenutosi ad aprile dopo otto anni.

Giorgio Cuscito, sull’ultimo numero di Limes, ha scritto che proprio la ricerca di un maggiore grado di trasparenza da parte della Cina risulta centrale per convincere interessati di peso come i Paesi che appaiono gli sfidanti economici più diretti di Pechino a compartecipare alle sue iniziative. Solo rendendo effettiva la “cooperazione win-to-win” promossa apertamente da Xi Jinping e dal suo governo, infatti, la Cina potrà plasmare liberamente, nel segno della connettività, la sua versione aggiornata della globalizzazione.

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