Il 31 agosto l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA) ha confermato che l’Iran sta rispettando il piano d’azione comune (JCPOA) del 2015 – più comunemente noto come “l’accordo sul nucleare iraniano”. Gli accordi sottoscritti da Stati Uniti, Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Germania (il cosiddetto P5 + 1) e l’Iran – pongono infatti dei vincoli molto stringenti e verificabili, in particolare sulla capacità di Teheran di produrre l’uranio arricchito o il plutonio necessario per la costruzione di una bomba atomica. Per questo motivo, gli esperti  sostengono sostanzialmente il JCPOA e hanno sollecitato tutte le parti a perseguire l’attuazione di quanto pattuito due anni fa. Il presidente Donald Trump, tuttavia, si è sempre dichiarato fortemente contrario all’accordo sul nucleare, anche durante la campagna elettorale presidenziale. E ora l’amministrazione USA dovrà necessariamente decidere il percorso da intraprendere. 

Visioni diverse: Trump e Mattis

Il 19 settembre, il presidente Usa Donald Trump ha preso la parola all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per scagliarsi nuovamente contro l’Iran: “Non possiamo permettere che un regime assassino continui a destabilizzare con le sue attività tutto il Medio Oriente mentre non cessa di costruire missili pericolosi. Il nucleare iraniano rappresenta uno dei peggiori accordi unilaterali che gli Stati Uniti abbiano mai sottoscritto. Francamente, ciò è molto imbarazzate per gli Stati Uniti”, ha affermato. Il presidente ha inoltre ribadito più volte di aver già preso una decisione in merito, e l’ha ricordata anche ieri. Qualcosa potrebbe accadere il prossimo 15 ottobre, quando Trump interverrà per “certificare” il rispetto o meno dell’accordo da parte dell’Iran.

Chi è intervenuto in maniera decisa nel dibattito è il Segretario alla Difesa James Mattis: come riportato da RaiNews, il capo del Pentagono, durante un’audizione al Congresso, ha dichiarato che la Repubblica Islamica sta “fondamentalmente rispettando l’accordo” sottolineando che “ci sono alcune aree in cui loro non sono stati rispettosi temporaneamente, ma nel complesso la nostra comunità di intelligence crede che abbiano rispettato l’accordo e anche l’IAEA sostiene questo. Se possiamo confermare che l’Iran rispetta l’accordo, se possiamo determinare che ciò è nel nostro interesse, allora certamente dobbiamo mantenerlo”, ha dichiarato Mattis. 

I termini dell’accordo. Attesa per il 15 ottobre

Cosa accadrà il 15 ottobre? Come osserva il prof. Colin H. Kahl Su Foreign Policy, secondo la legge, “il presidente deve certificare ogni 90 giorni che l’Iran stia attuando l’accordo e che non stia conducendo attività che potrebbero significativamente avanzare un programma di armi nucleari”. Inoltre il presidente USA deve confermare che “la sospensione delle sanzioni contro l’Iran non stia minando gli interessi nazionali e la sicurezza degli Stati Uniti”. Se Trump non certificherà questo, darà il via a “un periodo di 60 giorni in cui il Congresso dovrà prendere in considerazione la possibilità di reintrodurre le sanzioni sospese nell’ambio dell’accordo, incluse quelle sanzioni secondarie destinate alle imprese estere e alle banche che fanno affari in Iran”.

I più agguerriti falchi anti-iraniani, tra cui l’ex ambasciatore John Bolton, chiedono al presidente Trump di abbandonare l’accordo sul nucleare e imporre un “embargo economico totale” all’Iran. Nonostante Donald Trump sia fortemente sedotto dall’idea di mettere in soffitta uno dei pilastri dell’amministrazione di Barack Obama, è altamente improbabile che gli USA abbandonino il JCPOA, soprattutto per via della decisa opposizione di Cina, Russia ed Unione Europea a tale ipotesi. Paesi che in Iran hanno investito molto negli ultimi due anni, anche con accordi commerciali molto significativi. 

Gli scenari

L’amministrazione USA sta valutando altre strade percorribili per colpire Teheran. “La prima opzione – spiega Colin H. Kahl – prevede che gli Stati Uniti introducano in maniera massiccia le sanzioni non legate all’accordo sul nucleare e altre forme di pressione sull’Iran. Un approccio ‘waiv & slap’ caldeggiato da Tillerson, James Mattis e dal consigliere per la sicurezza nazionale H.R McMaster”. A tal proposito Trump sembra preferire altresì la strada della “rinegoziazione” dei termini dell’accordo non certificando il rispetto dei termini  da parte di Teheran. “L’obiettivo immediato – sottolinea Kahl – non sarebbe probabilmente quello di smantellare immediatamente l’accordo. L’idea è quella di utilizzare la non certificazione per mettere l’Iran in allerta e poi cercare di sfruttare ulteriori sanzioni al fine di costringere i partner a rinegoziare l’accordo con condizioni più favorevoli” e partendo dunque da una posizione di forza.

Secondo Kahl, tuttavia, questa strategia non porterebbe a nulla di buono: “Una maggiore pressione non ha prodotto risultati migliori due anni fa e minacciare di far saltare l’accordo non non ne produrrà nemmeno oggi”, sottolinea l’esperto. Trump, infatti, deve fare i conti con l’isolamento internazionale su questa vicenda e con le posizioni dei generali della sua amministrazione. Difficile che The Donald possa dare concretezza alle promesse fatte in campagna elettorale e alle sue recenti minacce contro l’Iran. 

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