Si capisce che l’Afghanistan non è un paese normale quando, ad urne chiuse, i primi dati non riguardano l’affluenza od i primi parziali, bensì il conteggio delle vittime degli attacchi. E purtroppo il conteggio appare sempre più in aumento, ora dopo ora. Sabato, giornata principale di votazione, quindici civili sono morti a Kabul a causa di un attacco vicino un seggio elettorale. Domenica mattina invece, undici persone sono rimaste vittima di un attentato compiuto con un ordigno piazzato nel ciglio di una strada, sempre nella capitale. Ma il bollettino di guerra delle ore durante le quali si è votato, non riguarda solo Kabul: si stima che, complessivamente, 400 attacchi sono stati compiuti in tutto il paese. 

La tornata elettorale afghana 

Gli afghani sono stati chiamati alle urne per eleggere la camera bassa, Wolesi Jirga in lingua pashtu. In totale, sono 250 i seggi da rinnovare di cui 68 riservati alle donne. Il mandato del vecchio parlamento è scaduto nel 2015, ma per via dello stallo politico in cui il paese ha versato per diverso tempo, così come per i ritardi negli accordi sulla nuova legge elettorale tra i principali attori politici, soltanto sabato è stato possibile aprire le urne. Ma non in tutto l’Afghanistan: a Kandahar, provincia il cui capoluogo è l’omonima città (la seconda più importante dopo Kabul), le operazioni di voto verranno espletate la prossima settimana per via dell’uccisione di uno dei comandanti della polizia locale e del governatore. Non c’è invece ancora nemmeno una data fissata per le elezioni nella provincia di Ghazni, la quale risulta sotto il controllo talebano. Dunque sussistono evidenti problemi di sicurezza per lo svolgimento delle consultazioni: attacchi, territorio fuori controllo, forze armate e di sicurezza incapaci di affrontare la situazione e, in generale, un Afghanistan evidentemente non pronto a reggere l’impatto con le elezioni, ecco il contesto maturato nelle ultime ore. 

Non ci sono ancora precisi dati sull’affluenza, dei circa nove milioni di elettori chiamati alle urne almeno in tre sarebbero andati regolarmente al voto, ma da Kabul non filtrano notizie ufficiali. Le elezioni sono cruciali per due motivi, sotto il profilo meramente politico: da un lato valutare la tenuta dell’impalcatura dell’attuale esecutivo, che vede alla presidenza il vincitore delle elezioni del 2014, l’economista Ashraf Ghani, e come primo ministro il suo ex sfidante Abdullah Abdullah. I due in occasione delle presidenziali di quattro anni fa, hanno dato vita a tensioni e reciproche recriminazioni, culminate poi con l’accordo che ha portato alla formazione dell’attuale governo. Ma, come detto, c’è anche un altro aspetto importante sotto il profilo politico: le elezioni sono di fatto un test per Ghani in vista delle presidenziali che dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) tenersi nella primavera del 2019. 

Sono 2.500 i candidati in corsa per i 250 seggi della Camera bassa. Almeno dieci di loro, alla vigilia del voto, sono stati uccisi in diversi attacchi volti a boicottare le elezioni. Gran parte dei candidati sono indipendenti: per evitare ulteriori divisioni settarie, in un paese composto da decine di diverse etnie, ed al fine di scongiurare più drammatiche tensioni, nel sistema politico afghano la formazione dei partiti è fortemente scoraggiata. Ne esistono molto pochi, perlopiù gruppi ed associazioni che riescono a portare a Kabul un modesto numero di parlamentari. Pur tuttavia è innegabile che, una volta dentro la Camera bassa, vengono a crearsi fazioni e gruppi determinati che, a loro volta, fanno riferimento ai “big” della politica afghana. Ecco perchè la tornata elettorale di questi giorni appare importante: potrebbe rappresentare un test di gradimento per i futuri candidati alle presidenziali. 

I risultati arriveranno comunque fra due settimane, se tutto ovviamente va bene. Tra instabilità, insicurezza, ma anche accuse di brogli e difficoltà logistiche in un paese in cui è molto difficile spostarsi da una determinata zona ad un’altra, il conteggio delle schede potrebbe chiedere anche molto più tempo. 

L’ombra del terrorismo 

In tanti, alla vigilia, non hanno mancato di esprimere forti perplessità sull’opportunità di far tenere delle elezioni in Afghanistan. Il paese fatica a trovare una sua stabilità, le sue istituzioni appaiono molto deboli, le consultazioni potrebbero aprire nuove e pericolose fasi di scontro e tensione. La sensazione tra molti abitanti di Kabul, come sottolineato anche da diversi corrispondenti internazionali, è che le elezioni appaiono più come una forzatura esterna ed in particolare degli Usa. Ecco perchè i Talebani, nei giorni scorsi, nei loro comunicati sottolineano le ingerenze americane per chiedere alla popolazione di boicottare il voto. Sono proprio i fondamentalisti al potere fino al 2001 ad essere in prima linea contro le elezioni: “Sono una farsa per facilitare i piani dell’America”, recitano diverse dichiarazioni di molti esponenti di spicco dei Talebani. 

Il gruppo da anni appare sempre più radicato nel territorio afghano. Nonostante 16 anni di guerra, di presenza Nato, di ingenti somme di denaro riversate su Kabul e sul nascente esercito afghano, i Talebani non sono sconfitti ed anzi rilanciano. Controllano buona parte delle aree rurali dell’Afghanistan, riescono a compiere diversi attentati e ad influenzare con le loro azioni la vita politica de paese. I loro attacchi durante le elezioni ne sono una dimostrazione, al pari degli inviti al boicottaggio. Ma sullo sfondo emergono anche altri problemi, a partire dall’Isis. Praticamente inesistente fino a tre anni fa in Afghanistan, per via delle differenze ideologiche tanto con Al Qaeda quanto con gli stessi Talebani, i jihadisti fedeli ad Al Baghdadi appaiono rafforzarsi sempre più. Anzi, proprio in Afghanistan potrebbe nascondersi lo stesso Al Baghdadi dopo la sconfitta del califfato tra Siria ed Iraq. 

In poche parole, l’Afghanistan è la più netta e nitida dimostrazione di come le elezioni non sono la soluzione ai problemi di un paese instabile. Organizzare delle elezioni in un contesto come quello afghano vuol dire far rischiare, al contrario, maggiori tensioni oltre a mettere in evidenza le gravi carenze in fatto di stabilità e di controllo del territorio. Una volta chiuse le urne ed insediato il parlamento, a Kabul come nel resto del paese i problemi non saranno risolti. Anzi, forse sarà il momento per un ulteriore aggravamento della situazione con Talebani e jihadisti che potrebbero diventare ancora più popolari.