Siria, Iran, Gerusalemme, corruzione e Jared Kushner. Non sarà un incontro di sola cortesia quello che andrà in scena lunedì prossimo alla Casa Bianca fra Benjamin Netanyahu e Donald Trump. Sul tavolo dossier particolarmente importanti e c’è chi considera questo vertice come una vera e propria boccata d’ossigeno. Quantomeno per il premier israeliano, che si trova a vivere una delle crisi peggiori del suo mandato da capo di governo con l’ultima ondata di accuse sui casi di corruzione e frode che, secondo alcuni, potrebbero costargli anche la carica.

Se Netanyahu non può dirsi certamente un leader sulla cresta dell’onda, Donald Trump, dal canto suo, non può certamente sentirsi al sicuro. Dal punto di vista interno, il Russiagate continua a mietere vittime mentre l’attacco a Jared Kushner, genero del presidente Usa e amico di famiglia del premier israeliano, che è stato “degradato” nella gerarchia dei consiglieri senza avere più accesso ai dossier segreti, perché manipolabile da potenze straniere, rischia di essere un colpo anche nell’intreccio di interessi fra Washington e Tel Aviv. Come se non bastassero i già noti problemi con i segmenti dello Stato profondo che dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca non hanno fatto che colpire la leadership del presidente in un vero e proprio assedio mediatico e giudiziario. 





I due leader però , proprio perché nel mirino della giustizia interna, trovano nella politica estera e proprio nelle relazioni bilaterali, un supporto di fondamentale importanza. Anche in un processo di esternalizzazione dei problemi, quasi a voler spostare l’attenzione sulla politica estera per tutelarsi sotto il profilo interno.Il presidente Usa, non appena eletto, ha certificato la sua totale partnership con Israele annunciando non solo lo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, ma intraprendendo una campagna anti-iraniana pienamente in linea con i desiderata di Netanyahu. Inoltre, ha congelato il piano di aiuti ai palestinesi di decine di milioni di dollari.

L’aver negato a Kushner l’accesso alle informazioni top secret può essere considerato un problema per l’amministrazione Trump nella costruzione di un proprio piano per il conflitto arabo-israeliano. Era il genero di The Donald, insieme a bin Salman per i sauditi, ad aver iniziato a costruire una strategia per la risoluzione della questione di Gerusalemme. Ma è anche lecito domandarsi se fosse realmente un obiettivo di Trump quello del rilancio del processo di dialogo dopo le prese di posizione contro i palestinesi e dopo che Netanyahu ha dato via, insieme alla sua coalizione di governo, all’ennesimo programma di colonizzazione della Cisgiordania.

Il problema più imminente e serio per Israele resta comunque l’Iran e la sua presenza politica, ma soprattutto militare, in Medio Oriente. L’obiettivo del premier israeliano è quello di chiedere a Trump di proseguire nella sua politica di decertificazione dell’accordo sul nucleare iraniano. Ma è anche quello di mostrare le perplessità israeliane per l’inattività concreta del presidente Usa. Insomma, se sono tutti contenti che la nuova amministrazione Usa abbia un approccio molto più duro con l’Iran rispetto a quella di Barack Obama, adesso si attendono delle azioni.

Israele vuole che gli Stati Uniti prendano posizioni più dure e pongano in essere azioni dirette contro l’Iran sia in campo politico che in campo militare. In Siria, in particolare, dove Tel Aviv accusa Teheran di continuare a costruire basi militari. La strategia israeliana nella regione non può fare a meno del supporto americano, ma il vuoto lasciato in questi anni dalla leadership Usa ha ormai fatto sì che altri attori prendessero il controllo della situazione, soprattutto la Russia. I vertici politici e miliari israeliani vorrebbero che gli Stati Uniti passassero dalle parole ai fatti contribuendo alla guerra non dichiarata tra Iran e Israele anche dal punto di vista bellico.

Un dato importante: durante la sua visita a Washington, Netanyahu interverrà alla conferenza dell’Aipac, la Commissione per gli Affari Pubblici di Israele. Questa è una delle più potenti lobby americane pro-Israele. La lobby vede al suo interno sia democratici sia repubblicani, ma è sempre interessante per comprendere le use mosse per vedere come si orienterà la politica Usa sul fronte israeliano. L’Aipac ha infatti una serie di punti in agenda che prevedono una forte attività di lobbismo all’interno del Congresso per sostenere il rispetto del memorandum sulla fornitura di aiuti militari a Israele, l’aumento delle sanzioni all’Iran e il perseguimento della politica di boicottaggio. La presenza di Netanyahu al meeting annuale diventa quindi ancora più importante.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.