Dopo mesi di resistenza a proteste costanti e partecipatissime, l’impresa del premier israeliano Benjamin Netanyahu comincia a fare acqua da tutte le parti, e proprio mentre l’iter legislativo della riforma che modificherebbe le competenze della Corte Suprema a favore del governo si avvicina all’approvazione finale, tutto sembra messo in dubbio. Perfino la tenuta del governo.
Un weekend di burrasca
La prima falla si è aperta nella serata di sabato 25 marzo: il ministro della Difesa Yoav Gallant ha rotto la linea del governo e, in un videomessaggio pubblico, ha chiesto al primo ministro Benjamin Netanyahu di congelare il piano di revisione giudiziaria poiché pone un rischio tangibile per la sicurezza nazionale di Israele. Gallant è stato il primo membro anziano del partito del premier a pronunciarsi pubblicamente contro la legislazione: ha esortato il premier a bloccare il processo legislativo e sventare così il rischio della protesta generale annunciata dai sindacati israeliani, venendo presto seguito da altri membri del Likud. Meno di 24 ore dopo la trasmissione, Netanyahu ha convocato Gallant a Tel Aviv per comunicargli che la fiducia del governo nelle sue capacità da ministro della Difesa si era esaurita e lo ha licenziato.
Di recente, a più riprese Gallant aveva proposto al governo una consultazione con i vertici dell’apparato di difesa nazionale per discutere il deterioramento della situazione di sicurezza nel Paese, conseguenza che la crisi politica ha avuto sul sistema delle Israeli defence forces, basato sui riservisti. Dall’inizio delle proteste infatti diversi militari riservisti si sono rifiutati di presentarsi in servizio in opposizione a quello che hanno definito “colpo di Stato giudiziario”. In un meeting parlamentare, il ministro aveva già evidenziato come questa situazione potesse essere riconosciuta dai “nemici di Israele” come un’opportunità per attaccare il Paese.

Il licenziamento del ministro ha scatenato reazioni anche oltreoceano: a poche ore dal colloquio tra Gallant e Netanyahu, da New York sono giunte le dimissioni del console generale israeliano, che fanno imbarcare acqua all’impresa di Netanyahu anche sul suolo americano. Asaf Zamir, che ricopre da tre anni il ruolo di rappresentanza nella Grande Mela, ha dichiarato di non poter più rappresentare il governo a causa del tentativo di questo di sovvertire il sistema giudiziario, e ha aggiunto che sarebbe tornato subito in patria per unirsi alle proteste. In una lettera pubblicata sui canali social, il diplomatico ha affermato che il licenziamento del ministro della difesa l’ha convinto a compiere questa mossa: “Credo sia giunto il momento di unirmi alla lotta per il futuro di Israele insieme agli altri cittadini, per un Paese migliore, più giusto ed equo” ha scritto. La settimana scorsa Zamir era già stato convocato a Gerusalemme per aver espresso vaghe critiche sul pacchetto legislativo ad una cena di beneficienza a New York. Le dimissioni del console sono state molto apprezzate dagli expats israeliani a New York che l’hanno accolto fuori dal consolato cantando l’inno nazionale e lo slogan “Democrazia o ribellione”.
Si è poi espresso in maniera incisiva il presidente di Israele, Isaac Herzog, esortando il premier a bloccare l’iter legislativo della riforma giudiziaria. In una dichiarazione ha espresso sincera preoccupazione per la situazione in cui versa il Paese: “Mi appello al primo ministro, ai membri del governo e della coalizione. Aleggiano nel Paese sentimenti duri e dolorosi, e l’intera nazione è assorta in grande preoccupazione. La nostra sicurezza, l’economia e la società sono sotto minaccia. Tutta la popolazione di Israele, tutti gli ebrei nel mondo stanno guardano a te in questo momento. In nome dell’unità della gente d’Israele ti chiedo di fermare il processo legislativo immediatamente”.
Durante questo weekend burrascoso Netanyahu è andato in visita a Londra per discutere con il corrispettivo inglese. I temi affrontati nel vertice non sono stati specificati ma l’ufficio stampa del premier israeliano ha comunicato che il focus principale dell’incontro era la minaccia iraniana. I numerosi oppositori della riforma in Inghilterra hanno protestato anche a Downing Street, che hanno accolto il premier al grido “traditore” e “vergogna”. In un’intervista rilasciata a Pierce Morgan la sera stessa, Netanyahu ha parlato della riforma. Assicurando che la democrazia in Israele è al sicuro, ha confermato che la riorganizzazione è necessaria “perché la Corte Suprema ha troppi poteri”. “C’è molta tensione ora e vorrei che non fosse così, ma sono sicuro che supereremo insieme questa difficoltà, perché le cose che invecchiano vanno riformate“.

I fatti di lunedì mattina
Questa mattina la principale unione sindacale del Paese, Histardrut, ha dichiarato uno sciopero generale che coinvolgerebbe oltre 700mila lavoratori di tutti i campi, comprese sanità, trasporti e banche, e potrebbe paralizzare l’economia israeliana e aumentare pericolosamente la pressione sul premier per sospendere la riforma. Per calmare le acque, Netanyahu aveva fissato una dichiarazione pubblica a metà mattinata, che però non ha avuto luogo perché il premier è stato impegnato in lunghi colloqui con i capi di partito della sua coalizione.
L’indiano The Economic Times ha affermato che in mattinata il governo di stampo radicale religioso-nazionalista è sopravvissuto a due mozioni di sfiducia presentate dall’opposizione in protesta alla riforma. Il magazine riporta le parole dello speaker della Knesset: la prima votazione è fallita 59 voti contro 53, la seconda 60 contro 51. Durante la discussione in parlamento, l’opposizione ha attaccato duramente Simcha Rothman, il presidente del comitato che ha guidato il disegno di legge fino alle letture parlamentari. “Questa è una presa in ostaggio dello Stato d’Israele. Non c’è bisogno di Hamas né di Hezbollah” ha riportato il giornale dai banchi dell’opposizione.
L’emittente israeliana Channel 12 news ha riportato che in mattinata il premier ha convocato il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir per un discutere con lui in seguito alla minaccia di quest’ultimo di lasciare il governo nel caso in cui la riforma del giudiziario sarà bloccata, com’è prevedibile che accada. Il ministro Alcuni parlamentari del Likud hanno pubblicato sui canali social delle immagini delle manifestazioni in corso, commentando “Stato d’Emergenza” e “Non ci ruberanno le elezioni”.

Il ministro della Giustizia Yariv Levin, promotore della riforma a nome di Netanyahu (ufficialmente diffidato dalla Corte Suprema a discuterne direttamente a causa delle sue sentenze pendenti) ha affermato che, in quanto membro del partito Likud, rispetterà qualsiasi decisione presa dal suo leader, ma mette in guardia sugli effetti di un eventuale posticipo della riforma, che metterebbe a repentaglio la tenuta della coalizione. “Una situazione in cui tutti fanno quel che vogliono porterebbe ad una caduta immediata del governo e ad un collasso del partito” ha detto.
Se veramente lo stop all’iter della riforma comportasse lo scioglimento della coalizione di maggioranza e la conseguente caduta del governo dopo soli 4 mesi in carica, un reimpasto di governo è altamente improbabile dato che la maggioranza ottenuta a novembre scorso dal Likud era molto risicata. Questo significherebbe che gli israeliani sarebbero costretti a tornare alle urne per la sesta volta in soli quattro anni, un record poco invidiabile, che pur certificando la tenuta democratica del Paese e l’alto tasso di partecipazione, alla lunga potrebbe essere provato dalla fatica elettorale. Va ricordato tuttavia che solo la settimana scorsa la Knesset ha approvato una legge che restringe drasticamente le circostanze necessarie alla rimozione del Primo Ministro israeliano dal suo ufficio.
Intanto lo sciopero sta già mettendo in crisi il Paese: banche, scuole e centri commerciali chiudono le porte, e tutti i decolli dal Ben Gurion, aeroporto principale di Tel Aviv, sono stati sospesi dalle prime ore della mattina. Anche le missioni diplomatiche israeliane in tutto il mondo stanno partecipando allo sciopero, compresa quella italiana di Roma che ha tweettato: “l’ambasciata d’Israele rimarrà chiusa da oggi fino a nuovo avviso e non saranno forniti servizi consolari”.