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Sono settimane concitate per Israele, interessata di recente dall’annuncio di elezioni anticipate per il prossimo mese di aprile dopo che le dimissioni dal governo Netanyahu di Avigdor Lieberman, potente ministro della Difesa e leader del partito Yisrael Beiteinu, hanno messo a repentaglio la tenuta della coalizione di destra che governa Tel Aviv.

Il nuovo corso di Netanyahu alla guida della Difesa

Assumendo l’interim della Difesa dopo le dimissioni di Lieberman, Benjamin Netanyahu non ha solo compiuto una scelta in linea della continuità istituzionale, ma ha anche messo le mani su un dicastero importante per la realizzazione di un punto fondamentale del suo programma: l’avanzamento degli insediamenti israeliani nei territori a maggioranza demografica palestinese. Prima fra tutte Gerusalemme Est, rivendicata da Israele come parte integrante di una città indivisibile.

Rivendicazione di cui l’inaugurazione della nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme avrebbe dovuto, nelle intenzioni di Netanyahu, rappresentare la più plastica manifestazione. A pochi mesi da quel 14 maggio 2018 destinato a restare nella memoria degli israeliani e nei palestinesi, tuttavia, il Primo Ministro è sfidato direttamente sul piano elettorale dalla destra più conservatrice e nazionalista.

Destra che nei mesi scorsi è stata determinante per varare la controversa legge “Israele – Stato nazionale ebraico” che ha segnato il mandato di Netanyahu ma che ora sfida l’intera eredità politica del leader del Likud. Che ha reagito cercando di intitolarsi completamente la politica degli insediamenti.

La spinta sui nuovi insediamenti

E così, di recente il Ministero della Difesa israeliano ha approvato piani per la costruzione di circa 2.200 case per coloni nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est. Dal 1967, ha scritto di recente Limes, “Israele ha espropriato il 35% del territorio di Gerusalemme Est, convertendone al contempo altrettanto in aree verdi, parchi naturalistici o archeologici dove è vietato costruire. Per i palestinesi la possibilità di ottenere un permesso per edificare sulla residua terra rimasta sono risibili”, a maggior ragione ora che il tema stesso degli insediamenti ha acquisito rilevanza elettorale.

Netanyahu intervenendo su questo terreno sfida non solo Lieberman ma anche, in prospettiva, i rivali di domani: primo fra tutti il nuovo sindaco di Gerusalemme, Moshe Lion, che come scrivevamo si è dichiarato contrario a numerose politiche governative che riguardano direttamente la Città Santa. “Oltre al famoso muro di Gerusalemme Est, vi è il contenzioso sulla legge fondamentale dello Stato che definisce Israele Stato esclusivo del popolo ebraico, a cui gli ultraortodossi si oppongono perché a loro parere simboleggia l’aspirazione sionista di laicizzare quest’ultimo vincolandolo a un contesto territoriale, e quello sulle restrizioni del sabato nella capitale per le attività economiche”.

La sfida di Netanyahu: negare a Lieberman la leadership sui coloni

Netanyahu ultimamente si è recato a più riprese negli insediamenti a Gerusalemme e nel West Bank per arringare i coloni, sfruttando i crescenti attacchi dell’opposizione laburista contro il suo esecutivo per compattarne il sostegno. Incontrando i rappresentanti degli insediamenti nella giornata del 26 dicembre, Netanyahu si è detto certo che la sinistra, supportata dalle nuove forze sistemiche ultraortodosse di cui è esponente Lion e da media antigovernativi come Haaretz, punta a un successo elettorale per procedere al completo smantellamento delle colonie di popolamento. La scelta di accelerare sugli insediamenti, garantita dal controllo di Netanyahu sul ministero della Difesa, è stata ponderata dopo aver assistito a preoccupanti defezioni.

Come segnala il Times of Israelinfatti, Netanyahu ha approvato i 2.200 nuovi insediamenti dopo che tre “falchi” tra i leader degli insediamenti si erano rifiutati di partecipare al vertice con il Primo Ministro lamentando un disinvestimento di 400 milioni dal progetto di espansione in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, a cui il governo ha prontamente risposto per accendere il dibattito con la sinistra, ribadire la sfida al nuovo sindaco della Città Santa e, soprattutto, togliere un’arma elettorale a Lieberman.

I sondaggi premiano il Likud

I sondaggi principali per le elezioni di aprile sembrano dare, per ora, ragione a Netanyahu: il Likud è accreditato di una maggioranza relativa decisamente stabile e se la proiezione di seggi che pare destinato ad ottenere è in linea con i dati del voto del 2015 (in cui ottenne 30 seggi su 120), oscillando tra 28 e 32, i suoi avversari faticano a tramutare in guadagni concreti gli attacchi a Netanyahu.

La sinistra dell’Unione Sionista potrebbe dimezzare, da 24 a 12, i suoi parlamentari, a destra Yisrael Beiteinu per ora non sfonda (6-10 seggi) e in prospettiva come potenziale coalizione guida dell’opposizione sembra emergere un nuovo attore fondamentale, la Lista Comune dei partiti arabi d’Israele (al-Qa’imah al-Mushtarakah), attestati nelle proiezioni tra 10 e i 15 seggi. La partita è appena iniziata, ma Netanyahu ha già fatto capire che è pronto a utilizzare nell’agone elettorale ogni arma a sua disposizione.

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