Finisce dopo poche settimane la nuova legislatura israeliana, nata a seguito delle elezioni dello scorso 9 aprile. La Knesset, il parlamento con sede a Gerusalemme, opta nelle scorse ore per lo scioglimento dell’assemblea a seguito dell’impossibilità di Netanyahu di formare un nuovo esecutivo. Un fatto inedito anche per Israele, dove mai fino ad ora una legislatura viene abortita prima ancora della nascita di una nuova maggioranza.

Al voto il prossimo 17 settembre

Il “dramma politico” israeliano si consuma in una notte, nel giro di poche ore: dopo l’evidente impossibilità di Netanyahu di formare una coalizione di centro – destra per via di litigi sorti con il partito di Avigdor LiebermanYisrael Beitenu, la Knesset su proposta dei parlamentari più vicini al premier uscente approvano un dispositivo di legge che “auto scioglie” l’assemblea. A questo punto, la presidenza della repubblica non può far altro che prendere atto della situazione e fissare una nuova data per le elezioni: il 17 settembre.

Ma per capire il motivo di questa brusca e prematura frenata della legislatura, occorre fare un passo indietro. In quel 9 aprile Benjamin Netanyahu, primo ministro in carica dal 2009, riesce con il suo Likud ad aggiudicarsi la maggioranza relativa seppur per pochi voti. Alle sue spalle, si piazza “Blu&Bianco” ossia la lista che riunisce i due principali oppositori di Netanyahu, Benny Gantz e Yair Lapid. Sia il Likud che Blu&Bianco ottengono 35 seggi, dunque entrambi i partiti non hanno i numeri per formare da soli una maggioranza in un parlamento composto da 120 deputati. In quanto leader del partito che ottiene la maggioranza relativa, a Netanyahu viene conferito l’incarico di formare un governo. L’impresa sembra difficile, ma non così ardua: basterebbe in teoria raggruppare i partiti di centro destra, sia laici che religiosi, per superare quota 60 alla Knesset. Ma dopo quasi due mesi di trattative, tutto va in stallo.

Lieberman, leader di Yisrael Beitenu e ministro della difesa nel precedente esecutivo, non accetta di entrare nel nuovo governo. Questo per via di una controversia su una futura legge richiesta da Lieberman volta ad obbligare anche gli ultraortodossi al servizio militare. Su questo punto né Yisrael Beitenu e né i partiti religiosi, ossia Shas e Giudaismo Unito nella Torah (entrambi con 8 seggi in parlamento), riescono a trovare un compromesso. Liebarman accusa inoltre Netanyahu di essersi piegato alle richieste degli ultraortodossi e così, nel giro di poche settimane, le trattative diventano impossibili. Netanyahu, assieme all’ala a lui più vicina nel Likud, decide così di portare in parlamento una norma per l’auto scioglimento dell’assemblea. Mercoledì sera 75 deputati votano a favore della proposta, decisivi i voti dei due partiti arabi. Lieberman, che con le sue dimissioni da ministro ad inizio anno provoca la crisi di governo che porta alle elezioni di aprile, adesso è protagonista anche del mancato avvio del nuovo esecutivo.

Gli scenari futuri

La legge e la consuetudine israeliana, molto forte quest’ultima in un paese privo di una vera costituzione, danno al leader del partito di maggioranza relativa la possibilità di formare un nuovo governo. Scaduti 28 giorni, allora il presidente della Repubblica è autorizzato a dare l’incarico al leader del partito giunto secondo. Lo sa bene lo stesso Netanyahu, il quale inizia l’avventura al governo nel 2009 proprio grazie a questa circostanza: dopo la vittoria di Kadima e l’impossibilità di Tzipi Livni di formare un esecutivo, con il suo Likud giunto secondo Netanyahu ottiene il pass per diventare primo ministro. Ecco perchè in Israele fino a ieri non si è mai andati ad immediate elezioni anticipate. Ma questa volta la situazione è diversa: a Netanyahu non sono bastati né 28 giorni e né ulteriori 14 di proroga concessi per fare il governo. Ed il leader del Likud, piuttosto che vedere affidato l’incarico a Benny Gantz, giunto secondo, decide quindi di promuovere la fine prematura della legislatura.

Per la verità Gantz, il cui partito di centro guarda più a sinistra che a destra, non avrebbe avuto grosse chance di formare un governo per via dei pochi seggi dei suoi possibili alleati. Ma Netanyahu non ha voluto rischiare: piuttosto che dare anche una piccola possibilità all’avversario, la sua strategia è quella di far andare il paese a nuove elezioni. Una mossa che irrita l’opposizione, tanto che Mareetz (il partito più a sinistra nella Knesset) evoca l’ostruzionismo parlamentare. Secondo molti giornalisti israeliani, Netanyahu vorrebbe presentarsi ancora da premier in carica quando su di lui verrà emessa la sentenza sul processo che lo vede imputato con accuse di corruzione.

Israele adesso verrà ancora retta da Netanyahu, seppur solo per ordinaria amministrazione fino alle consultazioni di settembre. Probabile che i due maggiori partiti provino, da qui ai prossimi mesi, una campagna elettorale volta a polarizzare su Likud e Blu&Bianco i voti degli elettori. Infatti l’unica chance di governabilità sia per un ipotetico centro – destra che per un ipotetico centro – sinistra, è quello di convincere i rispettivi elettorati al “voto utile“. Una prospettiva che già ad aprile sembra funzionare, con entrambe le formazioni in grado di raccogliere 35 seggi. Togliere voti e potere ai partiti più piccoli sarà un obiettivo che, tanto Netanyahu quanto Gantz, proveranno a perseguire.

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