Nella settimana in cui si tiene il processo penale nei suoi confronti, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu risponde ad alcune domande del Wall Street Journal sulla riforma giudiziaria, e svela il piano per portarla avanti e ricondurre il caos che ha scatenato alla normalità, dentro e fuori dalla Knesset: ritagliarla.
I tagli previsti
Il Primo ministro ha affermato davanti ai microfoni del Journal che è disposto a “mollare la presa” su quella disposizione del suo piano per rifondare il sistema giudiziario che ha causato più controversie. La chiave per poter avanzare i suoi piani include dunque il taglio di quella che i canali d’informazione israeliani hanno ribattezzato “override clause“, che si potrebbe tradurre come “clausola di primato”. Questa avrebbe dato al governo in carica il potere di rovesciare le decisioni della Corte Suprema con un voto a maggioranza semplice della Knesset: in altre parole, avrebbe permesso all’esecutivo di approvare leggi immuni al controllo giurisdizionale.
Il piano originale proposto dal governo Netanyahu per ristrutturare l’apparato giudiziario dello Stato, che ne avrebbe limitato radicalmente i controlli sul potere, aveva incontrato la forte opposizione di milioni di cittadini laici e liberali. Gli israeliani che per mesi sono scesi in piazza si dicevano molto preoccupati all’idea che tali misure avrebbero dato al governo un potere smisurato e che, in ultima analisi, avrebbero provocato un generale arretramento delle libertà civili nel Paese. Specialmente nei primi mesi dell’anno, le manifestazioni organizzate in opposizione alla proposta hanno causato gravi disordini in tutto il Paese, inclusi scioperi così estesi e prolungati che ne avevano minacciato l’economia.
Se in un primo momento il premier aveva permesso ai suoi uomini al governo di avanzare la proposta di riforma, in marzo, quando ha dovuto bloccare l’iniziativa a causa dei disordini pubblici causati dai manifestanti, ha ripreso il pieno controllo della contenuto del piano e della comunicazione in merito. “Presto molta attenzione al sentire della gente, e so cosa potrebbe essere approvato” ha affermato Netanyahu, che già nei mesi scorsi aveva comunicato di non supportare la clausola del primato. “Quell’opzione non è più sul tavolo, è fuori” ha detto all’intervistatore del Wsj.
Il Primo ministro ha poi aggiunto che c’è un ulteriore appendice controversa della proposta a cui sarebbe disposto a rinunciare: si tratta della disposizione che assegna all’esecutivo il potere di designare i giudici tramite una Commissione di selezione giudiziaria presieduta da membri del governo. Tuttavia, ha aggiunto che su quel fronte nulla è deciso per il momento, e che anche se intende cambiare il modo in cui i giudici sono nominati, non sa ancora come potrebbe essere organizzata il nuovo processo di selezione.
Sul filo del rasoio tra proteste e tenuta della coalizione
È improbabile che tali revisioni della proposta persuaderanno i politici dell’opposizione a supportare il piano. Peggio ancora, rischierebbero di alienare il favore dell’estrema destra religiosa che fa parte della coalizione di governo di Netanyahu con un ruolo fondamentale, sul quale ha già tentato di fare leva – si pensi alle diverse occasioni in cui il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir ha minacciato di abbandonare la coalizione e far cadere il governo in seguito a risposte “troppo deboli” del governo ad attentati anti-israeliani. I partiti ultra-ortodossi condannano la condotta dei tribunali israeliani, a detta loro troppo attivi politicamente e ostili alla loro agenda. Proprio i partiti harediti sono i più accaniti contro la Corte, che più volte ha rifiutato la legge che li esenta dal servizio militare. Il ministro degli Affari di Gerusalemme ha avvisato che tagliare fuori la clausola di primato dalla riforma significherebbe tradire gli accordi stabiliti tra il proprio partito (Ebraismo della Torah unito) e Netanyahu.
In un commento finale nell’intervista, discutendo del rapporto con la coalizione, il premier ha rifiutato l’idea che la coalizione e i suoi membri più estremisti possano rappresentare un ostacolo ai suoi piani. “Loro si sono uniti a me, non io a loro” ha detto dei suoi colleghi di governo. “Alla fine, le policy di questo governo sono determinate da me e i miei colleghi del Likud”.
Non è ancora del tutto chiaro fino a che punto il premier è disposto a spingersi pure di scongiurare il rischio di nuove manifestazioni come quelle che hanno bloccato Israele a marzo. Mai prima di allora il politico di lunga data aveva dovuto accettare una simile – temporanea – sconfitta, che l’ha obbligato a sedersi al tavolo delle trattative con l’opposizione. Nei mesi di aprile e maggio però i negoziati non hanno portato frutto, e all’inizio di giugno, quando i colloqui sono definitivamente naufragati, il governo ha riattivato l’iniziativa di riforma.
Il Primo ministro ha affermato che è pronto a procedere con il suo piano “come previsto”, ma ha anche precisato che la nuova versione della legge punta a trovare un compromesso, una via di mezzo, in modo da garantire che i cambiamenti che dovrebbe produrre possano rimanere in vigore “per una generazione”. L’opposizione ha già avvertito che Netanyahu rischia di far sprofondare nuovamente il Paese nel caos se non tornerà al tavolo dei negoziati.