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“Abbiamo assistito tutti alla terribile esplosione al porto di Beirut il mese scorso. L’esplosione è avvenuta qui. Questo è il porto di Beirut. Duecento persone sono morte, migliaia di persone sono rimaste ferite e 250mila sono rimaste senza casa. Ora, qui è dove potrebbe avvenire la prossima esplosione. Proprio qui. Questo è il quartiere Janah di Beirut. È proprio accanto all’aeroporto internazionale. E qui, Hezbollah ha un deposito segreto di armi”.

Le parole di Benjamin Netanyahu all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite rompono il silenzio israeliano dopo settimane in cui lo scontro con l’Iran e il caso in Libano sembrano aver ceduto il passo al nuovo lockdown e agli Accordi di Abramo siglati alla Casa Bianca. Sono parole dure che riportano al centro della politica internazionale lo scontro tra Gerusalemme e Teheran, ma che soprattutto ripropongono quel copione che da tempo il premier israeliano ha deciso di recitare di fronte alla comunità internazionale: rivelare pubblicamente i rapporti dell’intelligence per colpire nel vivo l’Iran e i suoi proxies, a partire da Hezbollah. Una strategia diversa rispetto al silenzio che per anni ha coperto le strategia israeliane, ma che dimostra come la massima pressione imposta dallo Stato ebraico sulla Repubblica islamica potrebbe essere arrivata a un punto di svolta, soprattutto dopo la tragedia di Beirut sulle cui cause e coperture resta un pesante velo di ombre.

Netanyahu ha rimesso Beirut al centro del mondo. Quel 4 agosto è un ferita ancora aperta nel cuore della popolazione libanese, che ha visto non solo la sua capitale cospargersi del sangue di centinaia di persone, ma anche rasa al suolo la vita di uno Stato e della sicurezza dei suoi cittadini. C’è un prima e un dopo quella deflagrazione. E l’interesse internazionale per la ricostruzione della capitale libanese e del suo Stato ha fatto capire a tutti quale fosse la vera partita in gioco, tanto che molti l’hanno definita la Ground Zero libanese, come fu uno spartiacque l’11 Settembre per l’America.

Le accuse israeliane sono pesanti. Netanyahu, e quindi prima di lui Idf e Mossad, hanno posato il loro occhio sul Libano e fatto capire che Beirut non è ancora al sicuro. Le immagini e il dolore di quanto avvenuto il 4 agosto sono ancora vive nel cuore della sua popolazione. E evidentemente le risposte che sono arrivate dal Libano non sono piaciute a Israele, che da tempo chiede che il partito-milizia di Hezbollah sia messo fuori gioco. Quell’avamposto dell’Iran al confine con lo Stato ebraico è per il governo israeliano una minaccia che prima o poi dovrà essere completamente sradicata. E un controllo internazionale sulla capitale e sullo Stato libanese erano un primo passo verso questa manovra d’assedio verso il Partito di dio.

Assedio che però non è bastato a dare certezze all’intelligence israeliana, che ha deciso così di accelerare il percorso di esposizione pubblica dei presunti depositi degli sciiti libanesi. Lo stesso con cui Israele aveva cercato di premere sull’Iran e sul programma nucleare. Le immagini mostrate da Netanyahu riguardanti il quartiere di Janah hanno fatto gelare il sangue nelle vene a molti libanesi. Tanti sono preoccupati per quello che potrebbe avvenire in caso di un nuovo incidente come quello che ad agosto al porto innescò la miscela di esplosivi e nitrato d’ammonio che ha devastato la città. Altri temono che quel messaggio di Netanyahu sia da interpretare come un doppio avvertimento: non solo per un incidente, ma anche per un eventuale attacco. Le esplosioni degli ultimi giorni nel sud del Libano potrebbero essere così state delle vere e proprie prove generali o dei modi per avvertire del rischio di una nuova escalation di attacchi mirati.

Il primo ministro israeliano ha invocato l’insurrezione da parte dei libanesi contro la presenza di questo deposito. “Dico alla gente di Janah, dovete agire ora. Dovete protestare. Perché se questa cosa esplode, sarà un’altra tragedia” ha detto Netanyahu nel suo appello davanti all’Assemblea Generale dell’Onu. Ed è un segnale di come ora, per Israele, obiettivo sia quello di dimostrare la pericolosità della presenza di Hezbollah in Libano. Di fronte al monito della Stella di Davide, la risposta della milizia libanese non si è fatta attendere. Il leader Hassan Nasrallah ha negato la presenza di qualsiasi deposito a Janah, ma ha anche accusato il premier israeliano di istigare il popolo libanese contro gli sciiti. “Chiunque voglia, può andarci ora. Se Hezbollah sta stoccando missili in questa struttura, allora non c’è il tempo sufficiente per rimuoverli. Non abbiamo depositi di missili al porto, o vicino a strutture di gas. Sappiamo dove stoccare i missili”, ha detto il leader del partito, che ha continuato: “Consentiremo ai media di entrare nella struttura, in modo che il mondo sappia che Netanyahu sta mentendo”.

Risposte che però non sembrano poter garantire nulla sul prossimo futuro della regione. Netanyahu, tra le varie accuse, ha anche ribadito la vicinanza dell’Iran – sponsor di Hezbollah – all’obiettivo di avere uranio a sufficienza per due testate nucleari. Segno che il problema non riguarda solo il fonte nord di Israele ma anche il Golfo Persico e l’intero Medio Oriente. Quella misteriosa serie di esplosioni che ha colpito l’Iran e quella devastante deflagrazione a Beirut potrebbero essere solo il preludio di una nuova crisi.





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