Sono passati 13 anni dalle ultime elezioni nei territori palestinesi: le stesse che segnarono la vittoria nella Striscia di Gaza del movimento Hamas e la rottura dei rapporti tra quest’ultimo e Fatah, il principale partito dell’Autorità Nazionale Palestinese. Da quel fatidico 2006 tutti i tentativi di giungere a una riconciliazione tra le parti e a nuove elezioni sono falliti, ma la situazione potrebbe cambiare presto.

Nuove elezioni

A ottobre del 2019, Mahmoud Abbas, presidente dell’Anp e leader di Fatah, ha invitato il Comitato elettorale centrale a iniziare i preparativi per le elezioni e a novembre tutte le fazioni palestinesi hanno dato il loro assenso al ritorno alle urne. Anche Hamas ha accettato l’idea di nuove consultazioni elettorali, nonostante i rapporti con l’Autorità continuino ad essere tesi e ben sapendo quali sono i rischi che corre nel rimettersi al giudizio della popolazione di Gaza proprio nel 2020, anno in cui la Striscia sarà dichiarata “invivibile” secondo le previsioni dell’Onu. I segnali che provengono dal mondo politico circa nuove elezioni sembrano positivi, ma dai sondaggi condotti tra la popolazione palestinese emerge una visione ben diversa della realtà: solo il 38% dei palestinesi crede davvero che nel 2020 si tornerà al voto, segno di una più generale sfiducia nei confronti dell’Anp e della classe politica. Il deteriorarsi dei rapporti con i propri elettori e il desiderio di ricostruire la fiducia nel popolo palestinese sono infatti alcuni di motivi per cui sia Fatah che Hamas hanno accettato nuove elezioni, consapevoli che il risultato delle urne potrebbe non essere quello desiderato.

Il nodo Gerusalemme est

A metà dicembre il presidente Abbas è ritornato a parlare delle elezioni, asserendo che manca ormai poco all’annuncio della data in cui si terranno le consultazioni. Secondo il leader di Fatah, resta solo un ostacolo da superare: Gerusalemme est. La città è tuttora al centro della contesa tra l’Anp e lo Stato ebraico e la zona orientale, a maggioranza araba, è sotto il controllo di Israele dalla guerra del 1967. Per questo motivo, affinché anche in questa zona si possa procedere al voto,è necessario il consenso dell’autorità israeliana. Una concessione che per il momento non è stata ancora né data né negata, ma che difficilmente potrebbe arrivare. Dare la possibilità agli abitanti palestinesi di Gerusalemme di votare avrebbe infatti delle implicazioni notevoli: significherebbe riconoscere almeno in parte l’autorità palestinese in una zona di Gerusalemme, città considerata da Israele sua capitale in tutta la sua interezza, e voltare le spalle agli Stati Uniti. Il presidente Trump ha indirettamente avvallato le pretese israeliane sulla città sacra spostando l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, deteriorando ancora di più i rapporti con l’Anp e dimostrando ancora una volta il suo supporto nei confronti di Israele. Permettere invece ai palestinesi residenti nella città di votare vorrebbe quindi dire riconoscere che una parte del territorio non appartiene allo Stato ebraico e creare così una situazione che l’autorità palestinese potrebbe sfruttare in proprio favore se mai si dovesse tornare a discutere dello status di Gerusalemme. La possibilità di tenere o meno elezioni nella città sacra è quindi un punto molto delicato e in extremis potrebbe essere usato dagli stessi Fatah e Hamas per scaricare su Israele la responsabilità del mancato ritorno alle urne.

Al di là di Gerusalemme, ci sono anche altri punti che devono essere risolti. Le due parti devono ancora giungere a un accordo sull’elezione del Consiglio nazionale palestinese, organo legislativo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), decidere chi supervisionerà il processo di voto e accordarsi per una nuova legge elettorale.

Scontro tra Fatah e Hamas

Le elezioni dovrebbero servire a ricucire la spaccatura venutasi a creare nel mondo palestinese a seguito del voto del 2006, che ha di fatto creato due diversi centri di potere: Gaza e Ramallah, rispettivamente nelle mani di Hamas e di Fatah. Obiettivo di quest’ultimo è riprendere il controllo su Gaza riducendo il potere di Hamas: dopo più di 10 anni il partito di Abbas non è riuscito a rimettere il riga il movimento che controlla la Striscia, né per via diplomatica né ricorrendo all’uso della forza. Ma non è detto che le urne rafforzeranno il potere di Fatah, anzi: il risultato delle elezioni potrebbe essere sfavorevole per Abbas, che si troverebbe a dover fare i conti con la presenza di Hamas anche all’interno del parlamento e non solo nella Striscia. Secondo un’analisi pubblicata da Haaretz, a Gaza Fatah non gode di grande supporto e Hamas intende approfittare di tale debolezza per riaffermare il suo potere ed espanderlo al di fuori dell’exclave. D’altro canto anche Hamas ha di che temere dal ritorno alle urne. Il movimento controlla la Striscia dal 2006, ma le condizioni di vita nella zona continuano a peggiorare e le poche manifestazioni della popolazione di cui si è avuto notizia e represse con forza dalle autorità sono un segnale importante dello scontento che serpeggia nell’exclave e che rischia di venir fuori anche durante le elezioni.

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